mercoledì 15 aprile 2015

Sportello di Counseling. Un esempio di welfare aziendale evoluto.

Articolo pubblicato in HR online

 “Il silenzio di Cooper era quello di chi ha una domanda che gli urla dentro e ha paura anche solo a sussurrarla.” Con questa citazione da Giorgio Faletti, Annalisa, descrive il senso del suo percorso di Counseling. “Una lanterna” lo descrive qualcun altro “Un viaggio introspettivo, dove il protagonista impara a guardare se stesso da un punto di vista esterno”, o ancora “Come trasformarsi da pecorella smarrita a leone”.
Ma di cosa stiamo esattamente parlando?
“Abbiamo deciso di attivare un servizio di Sportello Counseling” racconta Alessia Canfarini, Managing Director di Zeta Service, un’azienda da sempre attenta al benessere e allo sviluppo delle sue persone “a valle di un percorso formativo di self-empowerment. Le persone, stimolate ad ampliare le proprie potenzialità, avevano preso molto sul serio questo compito e continuavano a chiederci di poter approfondire il tema, di potersi allenare. Così abbiamo dato il via a questo servizio che permette di avviare un percorso di Counseling individuale: ogni dipendente può utilizzarlo, con la libertà di scegliere il suo obiettivo personale – non definito quindi come in altri percorsi a livello aziendale – e con la certezza di un’assoluta riservatezza.”
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venerdì 29 novembre 2013

Afrodite K: Adesso basta con queste tasse: ho un tumore e da o...

Afrodite K: Adesso basta con queste tasse: ho un tumore e da o...: Quando è troppo è troppo. Adesso basta.  E' una vita che pago tasse (dal 1992) ed contributi Inps (dal 1996 quando sono diventati obb...

Questo è l'inizio del post. E questo è il resto. Continua a leggere!

lunedì 21 ottobre 2013

I dialoghi risolutivi

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Articolo pubblicato su Aziendaitalia -  WKI

Our lives begin to end the day we become silent about things that matter
Martin Luther King

 “Anche ieri sera l’ennesima riunione stressante, ormai non riesco più a sopportare il mio capo, ogni giorno un motivo per controllare il mio lavoro e dirmi come devo fare, senza il minimo rispetto e senza tenere in considerazione la mia esperienza e il mio modo di lavorare!”
Quante volte abbiamo sentito frasi come questa, dette con rabbia o con desolazione, ma frasi che rivelano quanta sofferenza, frustrazione, desiderio di rivalsa nei luoghi di lavoro si possano vivere. E sorprendentemente, il carico più pesante non arriva dal lavoro in senso stretto ma piuttosto dalla qualità dei rapporti che si creano con i colleghi, con i capi, con i clienti. In definitiva con le persone con cui passiamo forse la maggior parte del nostro tempo. Imparare a gestire questi momenti critici diventa quindi molto utile sia per il benessere professionale sia per i risultati aziendali.
Imparare a riconoscere e a gestire le situazioni critiche è un’arte antica ma ancora molto attuale: quella del dialogo.

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giovedì 4 luglio 2013

CERVELLI STRANIERI IN ITALIA


Intervista di Luciana Zanon
pubblicata su Direzione del Personale - rivista di AIDP  - giugno 2013


CERVELLI STRANIERI IN ITALIA
Chi sono, cosa pensano, come vedono il mercato del lavoro i ‘cervelli stranieri’ in Italia? Tre interviste a chi ci vede con occhi diversi.

“Una prima forte impressione, cominciando a lavorare qui, è stata la grande sorpresa che io con la mia esperienza internazionale abbia scelto di  lavorare in Italia. Mi sono sentito, e mi sento ancora adesso, un po’ come un caso raro. Tutti mi chiedevano - Ma come mai vieni proprio qua, proprio in Italia? -”
Chi parla è Hamid, vera icona cross-cultural: nato in Germania da  una famiglia di origine iraniana, ha lavorato oltre che nel suo paese, in Belgio, Danimarca, Usa occupandosi di governance, sviluppo economico, venture capital e start up.  A 38 anni approda in Italia per lavorare nel settore innovazione di una grande azienda italiana. A un anno dal suo arrivo, la sua è una testimonianza con la genuinità della prima impressione.
“Che spiegazione ti dai per questa sorpresa? Forse per provincialismo o senso di inferiorità?”
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venerdì 11 gennaio 2013

Time management per il nuovo anno

Ho trovato questa poesia di Borges e l'ho trovata perfetta per il time management del nuovo anno.

Tanti auguri a tutti per il 2013.






Istanti

Se potessi vivere di nuovo la mia vita.
Nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi,
farei più viaggi,
contemplerei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.

Andrei in più luoghi dove mai sono stato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali, e meno problemi immaginari.

Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto
della loro vita sensati e con profitto;
certo che mi sono preso qualche momento di allegria.

Ma se potessi tornare indietro, cercherei
di avere soltanto momenti buoni.
Chè, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,
di momenti: non perdere l'adesso.

Io ero uno di quelli che mai   
andavano da nessuna parte senza un termometro,
una borsa dell'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.
  
Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.
  
Farei più giri in calesse,
guarderei più albe,
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.
    
Ma vedete, ho 85 anni
e so che sto morendo.
   
Jorge Luis Borges


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martedì 29 maggio 2012

VENDERE IN TEMPO DI CRISI




Vendere non è mai stato facile, richiede personalità, cordialità, capacità di relazione, conoscenze tecniche, insomma tutte quelle abilità e competenze su cui per anni abbiamo fatto corsi di formazione.
Ma vendere in tempi di crisi è ancora più difficile e non solo perché ci sono meno soldi in circolazione.
“Ai tempi dei miei genitori” racconta Navid Anayati, titolare insieme al fratello dello storico negozio di tappeti Persian House in corso Magenta a Milano “vendere voleva dire rimanere in negozio, accogliere i clienti, presentare i nostri bellissimi tappeti, consigliare, forse fare un po’ di pushing per accelerare la decisione. Ma sostanzialmente voleva dire rimanere in negozio ed aspettare i clienti. Se facessimo così anche oggi, potremo chiudere nel giro di una settimana”.
 
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giovedì 1 marzo 2012

Emozioni e ragione. Cosa conta di più nella presa di decisione?



Convegno SCOA
Napoli 8 febbraio 2012

NEL PROJECT MANAGEMENT CONTANO SEMPRE DI PIU’ LE COSE CHE NON SI CONTANO
- COMPETENZE INTANGIBILI PER PM –

Intervento di Luciana Zanon

Decidere vuol dire scegliere l’opzione migliore in una situazione in cui le possibilità sono molteplici. Comunemente si ritiene che il processo attraverso cui si arriva alla decisione sia di tipo razionale e, semplificando molto, segua queste tappe fondamentali.
1) conoscere la situazione
2) conoscere le differenti possibili scelte
3) conoscere le conseguenze di ogni possibile scelta.
Apparentemente è così, ma se pensiamo ad esempio a quando un motorino all’improvviso ci taglia la strada, probabilmente per prendere la decisione se frenare o meno non seguiamo esattamente il procedimento appena descritto: non facciamo un’analisi della situazione calcolando la velocità del motorino e la velocità della macchina; non valutiamo il tipo di pneumatici, né i miei né quelli del motorino; ne tantomeno elenchiamo le varie possibilità: frenare, non frenare, scalare le marce, elencando vantaggi e svantaggi di tutte le opzioni.

Di solito quello che succede è che istintivamente freniamo senza neanche rendercene conto. Questo ci dice che possediamo dei software di base antichi fatti di istinto ed emozioni che ci consentono di decidere in maniera rapidissima, senza coinvolgere minimamente la nostra corteccia cerebrale, la parte più evoluta del nostro cervello.
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venerdì 2 settembre 2011

CONOSCETE LA PIETRA FILOSOFALE DELLO STRESS?

Sappiamo tutti che lo stress costa caro alle aziende e alle persone che ci lavorano. Bene che vada, lo stress riduce la motivazione, il coinvolgimento e la performance delle risorse, proiettando anche un’immagine negativa dell’azienda. Nei casi peggiori, danneggia anche seriamente la salute.
Una sconveniente verità: gestire lo stress in azienda comporta un po’ di lavoro, ma non gestirlo ne comporta ancora di più. Il famoso proiettile d’argento, che da solo ha il potere di annientare lo stress, purtroppo non esiste.
Una buona notizia: esiste però la pietra filosofale, che trasforma lo stress in qualcosa di positivo. E’ un approccio fatto di interventi articolati che accerchiano il problema. Un po’ di lavoro, ma meno complesso di quello che sembra.
Per conoscere le migliori pratiche di gestione dello stress in azienda, partecipa al nostro seminario gratuito sul nuovo approccio per ridurre lo stress aziendale oppure chiedici più informazioni.
Il seminario, offerto da Learning Edge srl si terrà il 16 Settembre 2011 dalle 17:30 alle 19:00 presso i nostri uffici in Viale Majno, 10 Milano.

PER RAGIONI ORGANIZZATIVE VI CHIEDIAMO CORTESEMENTE DI CONFERMARE LA PARTECIPAZIONE SCRIVENDO A LEARNINGEDGE
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domenica 27 febbraio 2011

Team building. I tempi difficili impongono un cambio di rotta


Paola Stringa su L'Impresa (gruppo Il Sole 24 Ore) intervista diversi attori del mondo della formazione sul tema del team e dei conflitti. C'è anche un mio contributo sull'uso dell'orienteering nel team building.
Se vuoi leggere, almeno l'inizio dell'intervista, clicca qui.
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sabato 22 gennaio 2011

Esperienze di formazione 2010


Con l'anno nuovo pubblico quello che ho fatto in quello vecchio.
Se vuoi approfondire clicca qui.
Buone esperienze per il 2011!
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lunedì 20 dicembre 2010

Quali competenze per aiutare i manager a crescere?

Il 1° dicembre l'Università di Trento ha organizzato una giornata di orientamento per gli studenti delle Facoltà Umanistiche.
Il mio intervento ovviamente era legato al tema della formazione e dello sviluppo delle persone nei contesti aziendali.
In particolare la domanda era: cosa c’entra la cultura umanistica con i manager e con le organizzazioni?
Abbiamo parlato di competenze e abilità umane più che umanistiche indispensabili per occuparsi di formazione e sviluppo. Ecco una piccola traccia della discussione.
  • Tutto quello che ci succede nella vita è utile
  • Si impara di più, ovviamente se non ci si piange addosso, dalle esperienze difficili
  • È meglio mettere passione in tutto quello che si fa
  • Ogni esperienza ha un senso, anche se in quel momento non sembra. Se non lo si trova subito, diventerà chiaro più avanti…
  • Le debolezze, a saperci lavorare su, si possono trasformare in punti di forza


  • Curiosità per l’essere umano
  • Ottimismo per il suo sviluppo
  • Saperlo comprendere, farsi intenerire dalle sue debolezze
  • Essere consapevoli che si impara qualcosa davvero da tutti
  • Saper ascoltare, ascoltare, ascoltare…

  • Partire sempre dall’esperienza dell’altro
  • Sapersi ascoltare e aiutare gli altri ad ascoltarsi
  • Imparare ed insegnare a rielaborare la propria esperienza
  • Saper gestire la propria incertezza per aiutare a gestire l’incertezza altrui
  • Sembrerà banale…ma saper riflettere
  • Essere consapevoli che ognuno è artefice del proprio destino


Cosa ci chiedono negli ultimi anni?
  • Cambiamento
  • Leadership ispirante/relazionale/diffusa…
  • Cambiamento
  • Conflitto
  • Cambiamento
  • Lavoro di squadra
  • Cambiamento
  • Proattività


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lunedì 29 novembre 2010

H-FACTOR


Il primo dicembre l'Università di Trento organizza una giornata di orientamento per gli studenti delle Facoltà Umanistiche. Sarò presente con una testimonianza. Vi racconto tutto nei prossimi giorni. Intanto potete andare a vedere qui! E questo è il resto. Continua a leggere!

lunedì 11 ottobre 2010

Lasciare spazio al dolore


Questa mattina, appena prima di iniziare un corso, ho saputo alla solita macchinetta del caffè, che una collega, ammalata da tre anni era morta ieri sera. Quando tutti sono arrivati in aula abbiamo cercato di capire cosa fosse meglio fare in quel momento. Continuare il corso o lasciare spazio al dolore? Tutti abbiamo sentito che era meglio la seconda ipotesi, anche se era lunedì mattina in un'industriosa azienda milanese tutti si meritavano il tempo per piangere la loro collega. Nei dieci minuti passati insieme a loro mi è venuta in mente una lettera inviata a Repubblica (riportata in 'Amore limpido' di Giorgio Piccinino) che mi aveva molto toccata e che ho voluto condividere. La pubblico anche qui.


Caro Augias

Ho saputo pochi mesi fa di avere più o meno sei mesi di vita. Leggo i giornali, compresa la sua rubrica, e i problemi mi sembrano quasi sempre così banali e che si perda tanto tempo mentre io non ne ho più. Sei mesi per salutare tutto, gli amici, l’azzurro del cielo, il mare che ho amato, il mondo che mi gira intorno in un vortice; per riordinare ricordi ed affetti, dargli un senso, capire per quale motivo ho vissuto; per guardare negli occhi chi ami e spiegargli che stai andando via e che non potrai più accarezzarlo, raccontargli i tuoi sogni, scrivergli una poesia, fare l’amore con lui, per abituarti al buio preludio del nulla.
Perché perdiamo tempo a nasconderci e ad accapigliarci per delle cazzate, a vivere come se fossimo eterni? Per me ogni azione ha un significato, questa lettera, il caos per strada, il pranzo, una carezza, vorrei rubare ogni istante per non restare solo quando la morte mi guarderà negli occhi.

Siamo esseri incapaci di amare finchè la realtà non ci porta a capire che tutto fugge e che a volte dovremo dargli un senso per ricordarci di aver veramente vissuto. Perdoni il mio sfogo ma vorrei che leggendo questa mia lettera ci si ricordasse per cinque minuti che nella vita è importante amare e dare affetto perché solo questo resta davvero quando te ne vai. Anch’io vorrei aver solo amato, per andarmene su un raggio di sole in un giorno qualsiasi senza voltarmi indietro. Avrà il coraggio di pubblicare questa lettera?



Risponde Augias:



Il coraggio non è nel pubblicare la lettera. Il coraggio è rispondere a una lettera come questa. Infatti non lo farò. Non io, che potrei dire?

Una sola cosa forse: la consapevolezza della morte è ciò che ci fa, unici tra gli esseri viventi, creature morali. Ma richiamare questa vecchia certezza serve a poco nel nostro caso. Trascrivo invece qualche riga da un’altra lettera. Anche se è stata scritta quasi duemila anni fa conserva intatto ogni valore.

Vi si legge: “Moriamo ogni giorno, ogni giorno ci viene tolta una parte della vita e quando ancora stiamo crescendo la vita diminuisce. Abbiamo perduto l’infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo trascorso fino a ieri è perduto;anche la giornata che stiamo vivendo la dividiamo con la morte. Non è l’ultima goccia che svuota la clessidra ma tutta quella che è passata prima; allo stesso modo l’ultima ora nella quale cessiamo di vivere non è la sola che provoca la morte, ma è la sola che le da compimento; vi giungiamo ognuno nel momento dato, ma da lungo tempo vi eravamo avviati”.

Sono (molti le avranno riconosciute) alcune righe da una delle più intense, e più più lunghe, Lettere scritte da Seneca (Lett.24;20) al sua amico Lucilio prima di morire. Come spesso succede scrivendo, il dialogo a distanza di una corrispondenza, il flusso dei pensieri, tendono a trasformarsi in soliloquio, in occasione di autocoscienza. Tanto più in un uomo che stava per toccare i settant’anni, che aveva vissuto l’ebbrezza e le bassezze del potere e che nella saggezza finalmente raggiunta oltre che proclamata, poteva scrivere: “Disponiamo il nostro animo come se fossimo giunti al momento estremo. Non rimandiamo nulla; ogni giorno chiudiamo i conti con la vita” (Lett. 101;7).

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sabato 11 settembre 2010

Riprogettare la propria carriera


L’esperienza di UnBreakFast, libera associazione di professionisti in cerca di nuova occupazione.

Articolo pubblicato sulla rivista di AIDP, settembre 2010, n.3
Incontro di Luciana Zanon, formatrice e coach con Chiara Bonomi, Presidente dell’Associazione UnBreakFast

Essere buttati fuori dall’azienda dall’oggi al domani, non per demerito ma per ragioni legate alla crisi, è purtroppo un’esperienza che molti italiani hanno vissuto e stanno vivendo in questi due ultimi anni. È un’esperienza “democratica” nel senso che coinvolge tutti il livelli e tutti i settori.
Riprogettare la propria carriera diventa quindi una competenza indispensabile per far fronte ad un mercato del lavoro in continua turbolenza.
Ma come ci si sente quando si è buttati fuori, quali sono i momenti più difficili e soprattutto che cosa bisogna fare e cosa è bene cambiare?
Cominciano con queste domande il mio incontro con Chiara Bonomi, presidente e fondatrice di UnBreakFast, associazione che riunisce dirigenti, quadri e alte professionalità, temporaneamente inoccupati.

Chiara Bonomi: “L’idea dell’associazione nasce da una mia esperienza personale: ho fatto una brillante carriera e a 32 anni ero dirigente in un’importante azienda dell’information tecnology. Erano gli anni delle carriere veloci e io per carattere e priorità mi ci sono buttata. Ero il direttore della comunicazione quando la bolla è scoppiata e a seguito del crack finanziario mi sono ritrovata a casa con una buona uscita non pagata. Sono passata da una condizione di super lavoro al non aver niente da fare tutto il giorno. Come reagisci?
Ci sono diverse fasi: all’inizio stupore e godimento. Ti dici – stamattina dormo, poi vado a farmi la ceretta - insomma la sensazione di riappropriarsi del tempo. Poi subentra un forte senso di vuoto: è molto più forte la mattina, quando si è abituati a pianificare la giornata di lavoro. Alle volte diventa devastante, i colleghi sono al lavoro e la gente al mattino risponde meno alle telefonate.”

L’elaborazione del lutto, della perdita della vecchia identità è dunque il primo passaggio della trasformazione. Si può passare da momenti di euforia dove tutto è possibile a momenti di vuoto dove ci si percepisce come esclusi e inadeguati. Spesso l’emozione è la vergogna e non si riesce a parlare della propria nuova condizione con colleghi ed amici, qualche volta addiritttura neanche in famiglia. E’ necessario del tempo perché la perdita di identità professionale venga sostituita o integrata in un nuovo modo di percepirsi come individuo e come professionista.

Chiara Bonomi: “Più le persone hanno un impegno manageriale, più grandi le responsabilità e più questo passaggio è doloroso. Soprattutto per gli uomini, dove probabilmente l’dentità personale e quella professionale si sovvrappongono, il tempo di elaborazione è più lento. E ancora più fatica fanno quelle persone che nel loro passato professionale hanno sperimentato pochi cambiamenti: chi lavora da vent’anni sempre nella stessa azienda ha delle difficoltà enormi a rimettersi in discussione, alle volte addirittura l’incapacità di scrivere il proprio CV ”.

Essere padroni del proprio futuro purtroppo non può più voler dire essere certi di quello che ci accadrà. Questo è sempre stato vero ma lo è maggiormente in quest’epoca di cambiamenti impetuosi. Essere padroni del proprio futuro oggi vuol dire essere disposti a cambiare continuamente non nascondendosi i dati della realtà esterna, anche quelli che non ci piacciono. E nello stesso tempo avendo ben chiari i propri desideri, le proprie inclinazioni e le proprie priorità. La capacità di mantenere elevata la motivazione verso gli obiettivi nonostante la presenza di ostacoli, di difficoltà e disagio, essere insomma resilienti costituisce un fattore fondamentale ed una capacità più efficace ed evoluta rispetto al semplice “saper sopportare” passivamente.

L’obiettivo di UnBreakFast è quello di condividere l’esperienza ma anche di utilizzare questo momento di temporanea inattività (e non di disoccupazione) per riprogettare la propria carriera, con momenti di formazione e creazione di un un network di relazioni interpersonali: “La vita associativa tira fuori la generosità, dare una mano all’altro aiuta te stesso. Noi ci incontriamo il giovedì mattina (la mattina è il momento più difficile per chi non lavora) in un bar del centro di Milano e dopo un deliziosa colazione affrontiamo temi particolarmente utili che vanno dalla modalità di relazione con gli Head Hunter agli approfondimenti tecnici sulle nuove normative in tema di occupazione con il supporto di specialisti e professionisti del settore che spesso sono ospiti a colazione”.

E un passaggio importante è quello della valutazione e ri-valutazione delle proprie competenze che come sottolinea Chiara non sono solo quelle professionali ma anche le competenze di vita: “Ne escono bene le persone con una passione nella vita, a volte riescono a trasformarla in business o comunque a generare in modo creativo altre possibilità, ho visto mettere a frutto questa passione ad esempio organizzando compravendite su e-bay molto redditizie”.

Per molti riprogettare la propria carriera spesso vuol dire fare il balzo e decidere per l’attività free lance. Ma questo richiede dei veri e propri salti mentali, una diversa concezione del tempo, del denaro e del proprio modo di lavorare. “Bisogna diventare bravissimi a pensare per progetti e per funzioni. A fare il passaggio da cliente a fornitore, a imparare a non vergognarsi di vendere i propri progetti. Ma bisogna diventare anche molto operativi, fare tutto da sé, dalla strategia alle fotocopie. Organizzarsi un angolo di lavoro in casa, superando la necessità di avere per forza l’ufficio per avere lo status di persona occupata.”
In questo percorso diventa fondamentale l’arte di promuovere se stessi, la capacità di sviluppare un proprio marketing personale o personal branding, utilizzando per questo scopo tutti gli strumenti chhe anche il web può offrire.

Alle volte l’inoccupazione è l’occasione anche per rivedere e scegliere un altro stile di vita. “Il fatto di disporre di meno denaro ti può far vedere altri aspetti della vita. Il fenomeno del downshifting, meno dispendio più qualità della vita, fa organizzare le persone in modo diverso: si costituiscono in GAS (gruppi di acquisto solidale), organizzano delle vacanze non all’ultimo minuto e al prezzo più alto, scelgono la bicicletta al posto della macchina. “

Riprogettare la propria carriera richiede agli individui una grande flessibilità, una grande capacità di adattamento. Ma questa stessa flessibilità, sottoliinea Chiara, manca completamente alle aziende. “L’ aziende dovranno cambiare molto in questo, ora non hanno il coraggio di assumere una persona inoccupata, quella stessa persona che magari solo un anno prima avrebbero super pagato solo perché rivestiva una posizione ufficiale. Oppure tendono ad assumere le persone per lo stesso ruolo che hanno svolto da sempre non riuscendo a concepire che le persone si trasformano e si reinventano in ruoli diversi. Per non parlare della rigidità a prendere in considerazione persone di grande qualità ed esperienza ma che hanno superato i quaranta”.

E grandi cambiamenti li dovrà fare anche la società e il mercato del lavoro: “UnBreakFast parte dal presupposto che nel mercato del lavoro di oggi trovarsi temporaneamente senza fissa occupazione è una situazione assolutamente ordinaria che fa parte, a suo modo, di un percorso di crescita personale e professionale.”.

E se “allenarsi a cambiare” diventa la sola possibilità per gli individui di superare il momento traumatico della perdita del lavoro, lo stesso allenamento dovrà impararlo la nostra società : la cultura italiana infatti ha una storica incapacità di vivere cambiamento ed incertezza come delle possibilità. Se consideriamo infatti quello che Geert Hofstede, sociologo e studioso delle differenze interculturali, definisce l’annullamento dell’incertezza, ovvero il bisogno di ridurre al minimo il rischio, possiamo vedere dei confronti interessanti. In Italia il bisogno di annullare l’incertezza si attesta sul valore di 75, mentre negli Stati Uniti è 46 e in Cina è addirittura 30. Certo c’è chi sta peggio di noi: per la Grecia è 112 e per il Portogallo è 104, così per prendere due esempi a caso .
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venerdì 3 settembre 2010

Orientarsi nei boschi e in mare aperto come nella burocrazia: il caso dei comuni di Reggio Calabria


E' il resoconto di un esperienza Outdoor che ho condotto con alcuni Comuni della Provincia di Reggio Calabria tra giugno e luglio di quest'anno e pubblicata sul portale della Formazione Esperienziale.



Lo scetticismo iniziale

Era stata accolta con un po’ di scetticismo, anche tra gli addetti ai lavori. Alla vigilia, nella conferenza stampa di presentazione, la nostra stessa, onesta ammissione era stata che: «non era possibile prevedere l’efficacia e i risultati di questa metodologia». Un’incertezza iniziale generale dovuta precipuamente al fatto che la “formazione esperienziale” proposta in modalità Outdoor Training Management®, per la Pubblica Amministrazione locale del Mezzogiorno d’Italia, rappresentava una novità di fatto assoluta. Malgrado fosse già stata sperimentata da tempo e con grande successo nelle regioni del Settentrione, in particolare nel settore delle aziende private, nessuno aveva mai pensato infatti di far conoscere e praticare anche al Sud – e progettata e dedicata esclusivamente ai dipendenti pubblici, per giunta – questa metodologia di formazione/azione alternativa a quella tradizionale. Continua a leggere

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martedì 20 luglio 2010

La gara di canoa


La storia è vecchia ma gli spunti di riflessione sempre attuali :-)))

C'era una volta una squadra italiana di canoa.
Una società italiana e una giapponese decisero di sfidarsi annualmente in una gara di canoa, con equipaggio di 8 uomini.
Entrambe le squadre si allenarono e quando arrivò il giorno della gara ciascuna squadra era al meglio della forma, ma i giapponesi vinsero con un vantaggio di oltre un chilometro.
Dopo la sconfitta il morale della squadra italiana era a terra. Il Top Management decise che si sarebbe dovuto vincere l'anno successivo e mise in piedi un gruppo di progetto per investigare il problema.
Il gruppo di progetto scoprì dopo molte analisi che i giapponesi avevano sette uomini ai remi e uno che comandava, mentre la squadra italiana aveva un uomo che remava e sette che comandavano. In questa situazione di crisi il management dette una chiara prova di capacità gestionale: ingaggiò immediatamente una società di consulenza per investigare la struttura della squadra italiana.
Dopo molti mesi di duro lavoro, gli esperti giunsero alla conclusione che nella squadra c'erano troppe persone a comandare e troppo poche a remare.
Con il supporto del rapporto degli esperti fu deciso di cambiare immediatamente la struttura della squadra. Ora ci sarebbero stati quattro comandanti, due supervisori dei comandanti, un capo dei supervisori e uno ai remi. Inoltre si introdusse una serie di punti per motivare il rematore:" Dobbiamo ampliare il suo ambito lavorativo e dargli più responsabilità".
L'anno dopo i giapponesi vinsero con un vantaggio di due chilometri. La società italiana licenziò immediatamente il rematore a causa degli scarsi risultati ottenuti sul lavoro, ma nonostante ciò pagò un bonus al gruppo di comando come ricompensa per il grande impegno che la squadra aveva
dimostrato.
La società di consulenza preparò una nuova analisi, dove dimostrò che era stata scelta la giusta tattica, che anche la motivazione era buona, ma che il materiale usato doveva essere migliorato.

Al momento la società italiana è impegnata a progettare una nuova canoa....

Ti viene in mente qualcosa?
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domenica 20 giugno 2010

Interculturalità

Ho chiesto ad Ingrid, (coach, responsabile di www.coachpeople.it ) di fare una breve intervista per un corso che stavo preparando sull'interculturalità.
Mi interessava sapere come una professionista (ma anche una donna) tedesca vivesse l'impatto con la cultura del lavoro in Italia, che cosa era stato per lei difficile, strano o divertente.
E così ho scoperto che non per tutti Fantozzi fa ridere e che la sua comicità ha poca presa sui tedeschi. Provate a dare un'occhiata, al di là dei clichè Ingrid sottolinea delle apparenti piccole differenze che ci fanno capire meglio non solo come sono i tedeschi ma anche come siamo noi.

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venerdì 4 giugno 2010

Le arti marziali e la formazione


Workshop di Luciana Zanon al Convegno Nazionale AIF sulla Formazione Esperienziale
Riva del Garda 31 aprile - 1 marzo 2010

Ormai sono moltissimi i dati che dimostrano che lo stato di coscienza e il pensiero possono cambiare parametri quali la glicemia, le endorfine, il numero dei recettori presenti nei linfociti.
Il nostro stato mentale cambia il modo in cui la pianta del piede aderisce al suolo e, viceversa, una certa postura fisica influisce sullo stato di coscienza.
Imparare a respirare, avere una maggior consapevolezza del proprio corpo, dei propri stati mentali e di quelli del proprio interlocutore permette di gestire meglio situazioni di tensione e di difficoltà che si incontrano normalmente nella vita lavorativa.

Vedere il piccolo significa essere illuminati.
(Tao,52)



Il Qigong: Qi (o Chi) è l'energia sottile presente nell'universo, l'energia vitale che pervade ogni cosa, noi compresi, e fluisce attraverso il nostro corpo. Il termine cinese (che troviamo anche in "Tai Chi") equivale al giapponese "Ki" o al sanscrito "prana". Gong significa letteralmente tempo e lavoro: in questo caso è riferito a una forma di esercizio e disciplina. Praticare Qigong significa risvegliare e coltivare il Qi (che spesso, per diversi motivi, è bloccato e non scorre liberamente), migliorare la propria salute fisica e mentale, prevenire e sconfiggere la malattia, far emergere potenziali nascosti, creatività e capacità intellettuali superiori.

Il Tai-chi chuan è un’arte marziale e in quanto tale ha come obiettivo lo sviluppo interiore del guerriero, lo sviluppo dell’attenzione per l’avversario, per la gravità, per l’aria.

“Il Tai-chi chuan è un’arte cinese che ci rimanda a migliaia di anni fa. I suoi movimenti sono aggraziati, il tempo di esecuzione è lento e i suoi benefici numerosi. E’ l’unica forma di esercizio fisico in cui non si deve impegnare forza muscolare nel movimento. I miglioramenti dipendono dalla consapevolezza interiore e non dalla forza esteriore. Dietro ad ogni movimento di Tai-chi si trova la filosofia dello Yin e dello Yang. “

Nella filosofia taoista Yin e Yang rappresentano i due principi complementari che governano ogni processo la cui armonia dipende dall’equilibrio dinamico in cui essi si trovano

“In Occidente l’esercizio fisico accentua lo sviluppo della muscolatura, mentre il Tai-chi chuan sviluppa sia corpo che mente. Esso ha alla base una filosofia che non solo mira a favorire la salute, ma che può essere applicata alla vita di tutti i giorni” .

Le qualità che Chi Gong e Tai-Chi chuan sviluppano sono:

STABILITA’ – FLESSIBILITA’
AUTOCONTROLLO – ESPRESSIONE DI SE'
ASCOLTO DI SE’ – ASCOLTO DELL’ALTRO
CONCENTRAZIONE – AZIONE
MANTENERE IL PROPRIO CENTRO – CAMBIARE RAPIDAMENTE
CALMA - MOVIMENTO


I collegamenti con il mondo professionale sono diversi:

• ascolto di sé e del proprio corpo, individuazione dell’energia interiore o di possibili blocchi e tensioni, riconoscimente delle proprie emozioni e dei propri pensieri
• concentrazione anche in un ambiente disturbato, focalizzarsi sull’obiettivo mantenendosi vigili anche alle altre variabili, gestire la complessità
• cambiamento, consapevolezza della necessità del cambiamento, riconoscere il flusso energetico che scorre in noi e contemporaneamente nell’universo; flessibilità continua, continuando a mantenere il proprio centro
• ascolto: percepire l’altro, percepire l’ambiente, affinare la propria sensibilità, osservare negli altri forza e debolezza;
• attenzione e ricettività : sviluppare attenzione anche ai segnali deboli;
• flessibilità: non opporsi al nemico ma usare la sua forza, flettersi davanti agli ostacoli per poi superarli, aggirare le difficoltà, gestire conflitti e aggressività;
• qualità: ricercare sempre il miglioramento, responsabilizzazione personale, controllo di sé;
• uso del respiro : uso della voce, parlare in pubblico, autocontrollo, gestire lo stress


POSSIBILITA’ FORMATIVE

Le arti marziali possono essere utilizzate in abbinamento anche con le classiche attività formative dove l’approccio è anche cognitivo. A seconda delle esigenze si potranno quindi progettare sessioni più esperienziali alternate ad altre di tipo cognitivo.

Le aree di applicazione possono essere:

• Conoscere e gestire lo stress;
• Gestire i reclami;
• Gestire l’aggressività (propria ed altrui)
• Tecniche di vendita personalizzata;
• Negoziazione;
• Ascolto ed empatia;
• Tecniche di gestione dei collaboratori;
• Gestione del cambiamento;
• Ascolto di se stessi e sviluppo dell’autoconsapevolezza
• Parlare in pubblico.

A CHI SERVE

A tutti coloro che rivestendo posizioni di responsabilità vogliono:
• migliorare la propria concentrazione e attenzione
• controllare l’impazienza e l’impulsività
• aumentare la capacità di ascolto di sé e degli altri
• sviluppare un maggior equilibrio.

Ma anche ad operatori sottoposti a stress particolari e a situazioni difficili.
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venerdì 30 aprile 2010

Counseling: per ri-orientarsi quando cambiano i riferimenti. Uno strumento per riattivare le energie costruttive e creative delle persone


“È come svegliarsi una mattina e trovare che qualcuno nella notte ha spostato tutti i mobili di casa tua”. Così descrive la sensazione di smarrimento Filippo all’indomani dell’annuncio di acquisizione della sua azienda.
Fusioni, cambiamenti organizzativi, cessioni di rami d’azienda, cambi di ruolo, ristrutturazioni: ormai siamo abituati alle rapide e continue trasformazioni che le aziende sono costrette a fare, specie in tempi di crisi, per essere competitive e rimanere sul mercato.Eppure, quando arriva, il cambiamento coglie sempre impreparati. Chi non l’ha scelto, ma comunque lo deve condividere come per esempio Filippo, si sente catapultato suo malgrado in una realtà nuova, dove le prospettive di colpo sono stravolte. Smarrimento, paura, rabbia sono i sentimenti che molto spesso accompagnano le persone coinvolte e questo stato d’animo ostacola il difficile processo di integrazione che richiede invece molta energia, disponibilità e flessibilità.

Tutte le culture di fronte alle crisi hanno elaborato come meccanismo regolatore per l’equilibrio degli individui, dei riti di passaggio individuali e collettivi. Si pensi ad esempio come i riti dei morti, anche molto diversi fra loro, permettano a chi perde il proprio caro di elaborare all’interno di una comunità il lutto che la perdita comporta. E lo stesso si può dire per altre crisi di cambiamento: l’adolescenza, il matrimonio, le nascite.

Nella nostra società però non abbiamo più tempo per i riti di passaggio, troppi e troppo veloci sono i cambiamenti e le crisi che dobbiamo continuamente affrontare. Non c’è tempo per fermarsi, per sentire, per condividere, per traghettare se stessi nella nuova situazione. Se questo è vero nella società in generale, lo è ancor di più nel mondo delle imprese, dove il fare e il fare presto è un imperativo categorico.

Come per la perdita di una persona cara, anche il cambiamento nella cultura organizzativa comporta sempre un periodo – più o meno lungo – di lutto: è necessario del tempo perché la perdita di identità culturale su cui si imperniava il senso di appartenenza organizzativa venga sostituito o integrato a livello individuale dalla nuova cultura. In questo periodo di tempo le persone sperimentano una serie di stati d’animo che rischiano di rendere difficoltoso lo svolgimento della vita professionale. Con costi molto elevati dal punto di vista del rendimento e della performance.

La perdita di identità culturale (subito accompagnata dalla paura della perdita del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione stessa) stimola uno stato di confusione e, in seconda battuta, di disorientamento. Sono venuti a mancare i punti di riferimento organizzativi (o sono fortemente minacciati) e tutto quanto sino a un momento prima risultava familiare, rassicurante, un “ancoraggio” per il proprio senso di identità professionale, improvvisamente non è più certo.

La reazione a questo tipo di sensazione può essere diversa a seconda delle persone: alcune sperimentano sentimenti di rabbia (con comportamenti distruttivi ai limiti del sabotaggio, una sorta di neo-luddismo); altre se ne vanno sbattendo la porta sentendosi tradite; altre negano il cambiamento in atto; altre, la maggioranza, rimangono paralizzate dal disorientamento.

Il counseling assume in questo contesto la funzione del rito di passaggio e diventa il luogo dove poter elaborare la perdita e trovare un nuovo significato personale nella dimensione attuale. Diventa il luogo dove poter ascoltare e dare voce alle proprie emozioni e ai propri pensieri, dove poter condividere paure ma anche speranze e nuove possibilità. Il luogo dove esplorare i confini della nuova identità professionale e del suo ambiente di riferimento, dove ritrovare il senso del proprio percorso professionale e re-indirizzarlo, se necessario.

Il colloquio con il counselor fa da incubatrice per la nuova identità professionale (a volte non solo) che deve formarsi, delinearsi, prendere vita. Un luogo protetto, accogliente, sicuro dove dare voce alle proprie paure, speranze, necessità profonde in relazione al cambiamento che si deve affrontare.

Ma come funziona?

Il percorso di counseling, che può essere individuale o di gruppo, come ogni rito che si rispetti ha delle fasi ben precise, che possiamo identificare con i diversi momenti in cui la nuova identità prende forma:

1) Come sto, cosa provo, quali sono i sentimenti, spesso contrastanti, che vivo in questo momento. Permettersi di dire/dirsi anche cose come:
“Alle volte, certe mattine, sono così arrabbiato per quello che è successo, che non vorrei neanche più presentarmi in ufficio”
“ Mi sento come fossi stato tradito, dopo tanti anni di lavoro mi sembra di non avere più voce in capitolo. Non avrei mai pensato di sentirmi così triste a causa di questa azienda”
Questa è la fase iniziale, durante la quale l’individuo o il gruppo riflettono sulla propria situazione e prendono piena consapevolezza delle conseguenze che essa ha sulla loro salute emotiva.

2) Chi sono io, quali sono le mie attitudini, cosa so fare, che cosa mi dà gioia quando lo faccio. Esplorare le proprie risorse personali e professionali. Cosa mi è successo in altre situazioni di cambiamento, quali sono le strategie che ho utilizzato, quali sono state più utili.
Dopo essersi guardati dentro, ci si può guardare un po’ intorno per capire quale è il nostro reale raggio di azione nella nuova realtà, e questo in parte comprende anche la fase successiva.

3) Chi sono gli altri, qual’ è il nuovo contesto e la nuova cultura. Quali sono i valori di riferimento, posso condividerli?
È molto importante potere sentire i confini etici e operativi della nuova realtà organizzativa come propri, per questo è fondamentale che l’organizzazione lavori sulla definizione della nuova cultura organizzativa quanto prima, possibilmente in un’ottica il più possibile di governance (per esempio con counseling di gruppo)

4) Come voglio essere: come posso utilizzare il mio essere e il mio sapere nella nuova cultura.
È l’ultimo passaggio: dopo aver riflettuto su di me e sui miei bisogni fondamentali, aver osservato la nuova realtà in cui ci si deve muovere e essersi confrontato dal punto di vista della comunanza di obiettivi e della motivazione... bene è ora di definire un possibile ruolo nella nuova organizzazione, per ricominciare da dare un senso al suo quotidiano professionale.

I percorsi possibili

Il counseling è uno strumento molto flessibile, che ben si adatta ai ritmi non sempre governabili delle organizzazioni anche complesse. Ecco qualche esempio di percorsi possibili, individuali e di gruppo.

Incontri di sostegno al cambiamento di ruolo (8 – 10 incontri circa) possono essere offerti al nuovo management per aiutarlo a indossare con maggiore sicurezza e assertività i nuovi panni organizzativi. Percorsi di counseling di gruppo possono coinvolgere diverse aree dell’organizzazione per promuovere una riflessione e co-progettazione della nuova cultura organizzativa. Percorsi di counseling infine, possono essere offerti alle persone cui viene offerta una “via di uscita” come accompagnamento al distacco dall’organizzazione.
Alessandra Cosso e Luciana Zanon
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mercoledì 24 marzo 2010

Life planning, la capacità di conciliare aspirazioni e priorità professionali e personali Luciana Zanon per il Sole 24 ore


Il concetto di work life balance, equilibrio cioè fra vita e lavoro, contiene una contraddizione implicita perché contrappone i termini vita e lavoro: nel suggerire la necessità di un equilibrio fra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita, suggerisce anche il pensiero che quando si lavora non si vive e quando si vive non si lavora.

Una contrapposizione forte; eppure in un vecchio concetto di impresa, che continua a chiamare le persone risorse umane, il lavoratore è concepito come prestatore d’opera, al massimo prestatore di idee. .

Questo concetto di impresa sta scomparendo, e si sta facendo strada una nuova cultura, quella della Corporate Social Responsability che vede l’impresa non solo rivolta al business, ma anche attenta alla comunità, all’ambiente e in particolare a tutte le persone coinvolte, clienti, fornitori, dipendenti.

In questa visione la risorsa umana diventa persona, e quindi lavoratore sì, ma anche genitore, coniuge, figlio, con la passione per la montagna o per il teatro, impegnato in attività sociali oppure sportive.

È all’interno di questa concezione che le imprese hanno cominciato a chiedersi come le politiche gestionali possano favorire un giusto equilibrio fra vita lavorativa e personale. Hanno cominciato a chiedersi come sviluppare il benessere delle proprie persone, consapevoli che un lavoratore soddisfatto della sua condizione in generale è anche un lavoratore più produttivo.

Ma accanto alla responsabilità d’impresa c’è anche una responsabiltà individuale e l’impegno di ogni lavoratore e lavoratrice per il proprio benessere, per le priorità di vita e dell’utilizzo del tempo. Accanto al work life balance si sviluppa anche il tema del life planning, la capacità di conciliare aspirazioni e priorità professionali e personali.

WLB e impresa

Diverse ricerche dimostrano che le imprese che adottano policy aziendali orientate al work life balance, nel tempo raggiungono diversi vantaggi:
• Un miglior clima aziendale e una maggior produttività
• Una migliore customer satisfaction
• Una maggiore capacità di attirare e trattenere i talenti
• Una maggiore fidelizzazione dei collaboratori
• E, non ultimo, costi minori dovuti a congedi per malattia.

Spesso si pensa che sviluppare una cultura WLB significhi creare una serie di servizi aziendali che facilitino l’organizzazione di vita delle persone, come per esempio asili aziendali, servizi di spesa in ufficio, servizi di pagamento bollette interne, palestre per combattere lo stress e tenersi in forma lavorando.

Sono servizi certamente utili, ma non bastano per creare una cultura WLB. Intanto non tutte le aziende, specialmente le medie e le piccole, se lo possono permettere.
Inoltre non è detto che tutti i lavoratori necessitino di questi servizi. Per esempio chi non ha figli, o ha figli già grandi. Chi non ama lo sport e per tenersi in forma e combattere lo stress preferisce la lettura di un libro oppure lavorare all’uncinetto.

Non basta soprattutto se, come alle volte succede, le imprese forti del fatto di aver istituito questi servizi, implicitamente chiedono ai propri dipendenti di rimanere ancora più a lungo.

Sicuramente la capacità di creare un’organizzazione del tempo flessibile può aiutare molto l’individuo a bilanciare il proprio tempo: poter lavorare da casa, avere degli orari flessibili, gestire il tempo di lavoro a seconda della propria organizzazione familiare e dei propri bioritmi, utilizzare il part time in funzione del proprio ciclo di vita sono strumenti, che aumentano molto il locus of control interno e quindi il sentirsi padroni della propria vita.

Ma anche qui, la semplice istituzione della flessibilità non è sufficiente se la cultura generale non cambia, se per dirla in parole povere, sopravvive l’equazione presenza = merito, se per potersi sentire sicuro il manager deve avere in ogni momento il controllo sulle persone, se insomma, come succede in tante realtà aziendali, chi si ferma di più è il più meritevole.

Molte aziende sono ancora bloccate in una cultura datata di rigido controllo della presenza e del tempo. È una cultura che però non stimola creatività e partecipazione, elementi indispensabili in una cultura del lavoro sempre più centrata sulla conoscenza.
Potremo dire che ora it's time to work smarter, not longer.

La concezione del tempo

Possiamo paragonare il tempo all’aria che respiriamo: è un elemento così vitale e scontato che non ci pensiamo fino a quando non comincia a mancarci.
Da un punto di vista esistenziale, ognuno di noi vive come se avesse davanti a sé un tempo infinito. Nonostante cognitivamente sia chiaro che la nostra vita avrà un tempo finito, il fatto di non sapere quanto ne abbiamo a disposizione, ci fa concepire il tempo come illimitato. Insomma come individui è difficile interiorizzare il famoso memento mori.

Nello stesso tempo però e paradossalmente, viviamo in una cultura che considera il tempo una risorsa sempre più limitata. Tutto deve essere fatto il più in fretta possibile, qualsiasi attività si trasforma in una corsa contro il tempo. Questo è particolarmente vero nel mondo del lavoro dove tecnologie e cambiamento continuo accelerano ogni giorno di più i nostri ritmi di marcia.

Il paradosso è che come individui siamo compressi tra due concezioni opposte: il tempo quotidiano è insufficiente ma il tempo della nostra vita è illimitato.
Il risultato è che siamo costantemente di corsa e completamente incapaci di fermarci e riflettere su come stiamo impiegando il nostro tempo.
Oberati giorno per giorno da mille attività, continuiamo a posticipare in un immaginario tempo futuro, quelle che ci riguarda come individui.
Ci lamentiamo di non aver abbastanza tempo per leggere, per approfondire (per esempio i temi di lavoro che ci interessano di più). Ci lamentiamo di non stare abbastanza con i figli, di non poterci dedicare alla meditazione, ai viaggi, alle nostre passioni.

Alle volte una grave malattia o un evento luttuoso obbligano a fermarsi ed impongono la riflessione. Il toccare con mano che la vita ha un termine, mette di fronte ad un bilancio esistenziale: che uso ho fatto del mio tempo e che uso farò del tempo che rimane.

E a questo punto la domanda è: perché questo bilancio non posso farlo costantemente, perché non mi assumo la responsabilità di come usare il mio tempo?

Life planning

Per fare un bilancio della propria vita è necessario assumere una prospettiva di lungo periodo. È quindi importante sapersi fermare ed attivare una riflessione che è impossibile fare quando si è travolti dalla frenesia quotidiana. Una domanda molto utile per rifocalizzarsi in una prospettiva più di lungo periodo è questa: immagina di avere ancora un anno di vita a tua disposizione, come vorresti impiegare il tempo che ti rimane?
È una domanda molto forte, ma che aiuta a centrarsi immediatamente sul progetto di vita.

Progettare la propria vita è un’azione fondamentale come individuo e come lavoratore. Per motivarsi nei differenti momenti della vita. Per verificare nel corso degli anni quali sono le priorità che necessariamente cambiano nel tempo.

Si tratta di sviluppare una nuova competenza, quella di alimentare vicendevolmente vita personale e vita professionale.

Per fare questo è importante attivare alcune domande fondamentali:
• che cosa do per scontato del mio tempo?
• quali sono state le priorità che mi hanno fin qui guidato?
• che cosa, in questo momento della mia vita, è per me prioritario?
• quali sono le priorità a cui mi voglio dedicare nei prossimi cinque anni?
• qual è la qualità delle mie relazioni professionali e di quelle personali?
• che cosa per me è logorante in questo momento?
• in quale ambito della mia vita, traggo le maggiori soddisfazioni e ispirazioni?
• e quanto questo ambito potrebbe diventare predominante a discapito degli altri?
• quanto per me è accettabile dedicare del tempo a me, alla mia famiglia, alla comunità, al mio lavoro?
• quanto spazio hanno i sensi di colpa nel riservare più o meno tempo ai diversi ambiti della vita?
• come legittimare le mie aspirazioni e neutralizzare i sensi di colpa?

Porsi queste domande e rispondervi non è certo facile. È un processo complesso che a volte richiede anche un supporto. Ma è l’unica possibilità per fare il punto, per sapere dove siamo e dove vogliamo andare. È l’unica possibilità per aumentare la propria consapevolezza e il locus of control della propria vita.

Poi sarà necessario attivare un piano, porsi degli obiettivi concreti, saper negoziare, prima dentro di sé e poi all’interno del proprio lavoro, nuovi spazi e diverse responsabilità.

Il concetto di work life balance, nato negli anni 70 soprattutto per rispondere alle esigenze delle madri lavoratrici, nel corso del tempo ha assunto una connotazione sempre più ampia e trasversale al genere, dando il via ad una vera e propria trasformazione culturale.
Ora non sono solo le donne che vogliono ricavare del tempo per la famiglia, ma anche gli uomini in alcuni momenti della loro vita professionale decidono che se ne vogliono occupare.
Il work life balance diventa sempre più interessante per tutti: uomini e donne, genitori e non genitori, single e coppie, impiegati e manager. Tutti indistintamente sentono sempre di più l’importanza di poter gestire il proprio tempo in modo più equilibrato.

Una recente indagine in UK ha dimostrato che la stragrande maggioranza dei lavoratori sono scontenti del proprio work life balance. E nello stesso tempo questi stessi lavoratori vedono come unica possibilità quella di poter cambiare lavoro, anziché rinegoziare il proprio modo di lavorare, spingendo verso una maggior flessibilità.

E forse è proprio qui il punto di incontro fra bisogni individuali e bisogni delle imprese.
Il salto culturale per le aziende sarà proprio quello di capire che un buon work life balance conviene all’individuo ma conviene all’azienda.
• Che in momenti diversi della vita ogni individuo può portare all’azienda energie diverse: l’entusiasmo e la presenza di un neo laureato così come la riflessività e la saggezza di chi è alle soglie della pensione.
• Che una buona realizzazione della vita personale non può che arricchire la vita professionale: se un individuo coltiva la sua creatività attraverso hobby e passioni, la stessa creatività la potrà portare in azienda.
• Che le competenze che si sviluppano nella vita personale possono essere utilizzate nel mondo del lavoro: ad esempio le doti organizzative di una madre, la capacità di negoziare e gestire i conflitti di un genitore di figli adolescenti, le abilità di team work di chi è impegnato in attività sociali e così via.
• Che creare individui workaholic, che traggono maggior piacere nel lavoro piuttosto che nella vita privata, sul lungo periodo diventano un costo. Basti pensare alle spese sanitarie legate alle malattie da stress.

• Che in definitiva l’individuo è unico e che vita lavorativa e vita personale si possono alimentare l’una con l’altra anziché contrapporre come due entità separate.

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