domenica 27 aprile 2008

Intervista sulla felicità


Incontro Giorgio Piccinino, autore de “Il piacere di lavorare”, per parlare di felicità e lavoro. Giorgio, psicoterapeuta del Centro Berne di Milano, si occupa da anni di comportamento organizzativo in aziende pubbliche e private.

Allora Giorgio, cominciamo intanto con una domanda facile: cosa intendi tu con la parola felicità?L’etimologia riconduce il termine felicità all’antica radice “dhe“ che significa fecondo, nutriente e produttivo. Fertilità, femminile, feto sono tutte parole che derivano dalla stessa radice e rimandano allo stesso significato di fertilità e nutrimento. Ho sempre pensato alla felicità come a un nutrimento, a qualcosa che alimenta l’energia vitale, che ci dà voglia di fare, insomma la nostra benzina. Ma è anche il premio che riceviamo quando realizziamo le nostre pulsioni di base di sicurezza, attaccamento/amore, conoscenza/ evoluzione ed auto realizzazione.
Puoi spiegare meglio?Beh…noi esseri umani viviamo alimentati da una energia che ci spinge a sopravvivere, a riprodurci, a crescere ed essere diversi dagli altri e tutte le volte che questi orientamenti vengono realizzati proviamo forti sensazioni interiori di gioia e felicità che diventano il nutrimento per nuove azioni finalizzate ad un altro successivo soddisfacimento.Il successo nella soddisfazione dei bisogni è per la natura umana fonte di gioia e ha come conseguenza una forte motivazione a proseguire nella ricerca della felicità nelle stesse aree, che sono poi quelle necessarie alla sopravvivenza della specie che l’evoluzione ha selezionato in migliaia di anni.
Intendi dire che la felicità aiuta la nostra specie a sopravvivere?
È così. L’insuccesso dei comportamenti volti a soddisfare i bisogni primari, al contrario, è associato a emozioni-sentinella che ci avvertono che stiamo fallendo o che è in pericolo la nostra sopravvivenza. Le emozioni di paura, rabbia e tristezza (che sono le emozioni di base assieme alla gioia) sono i segnali che il genere umano ha in dotazione per sentire immediatamente, prima ancora che razionalmente, che la sua vita sta andando in direzioni negative per la sopravvivenza. Per i bambini è evidente: gioiscono se sono amati, se sono nutriti quando sono affamati, se scoprono qualcosa di nuovo, se riescono in qualcosa, se sono riconosciuti come individui. Al contrario piangono, si spaventano o si arrabbiano se sono trattati male, se sono lasciati soli e se sono bloccati nei movimenti, e nessuno glielo insegna, in tutte le parti del mondo.La felicità come premio e l’infelicità come deterrente sono fondamentali per orientare i nostri comportamenti poiché a differenza degli animali, noi esseri umani abbiamo lasciato, nel corso dell’evoluzione, gran parte dei comportamenti istintivi, avevamo bisogno di emozioni forti per distinguere ciò che è bene o male per l’individuo e la specie. In fondo si tratta di mantenere ciò che madre natura ci ha lasciato in dote alla nascita, sappiamo benissimo, se ascoltiamo le nostre emozioni, cosa ci fa bene e cosa ci fa male.Ok, dunque la felicità come segnale che devo andare avanti così, che il comportamento adottato è buono per me. Ma è possibile essere felice all’interno di un’organizzazione? Come può un individuo ricercare la propria felicità laddove esistono ruoli talmente definiti e precisi da non lasciare spazio alla creatività personale?Dipende molto se siamo la persona giusta al posto giusto e se individuiamo nel lavoro la possibilità di soddisfare i nostri bisogni profondi. Per me il lavoro, inteso come l’occupazione con cui gli esseri umani realizzano insieme la sopravvivenza e l’evoluzione della specie, è uno dei luoghi in cui è possibile soddisfare soprattutto i bisogni di sopravvivenza, di auto realizzazione e di crescita, forse un po’ meno il bisogno di appartenenza, ma conosco molte persone che non cambierebbero mai lavoro solo per il fatto che vi si trovano bene con i loro colleghi. Non basta ovviamente un lavoro materialmente e psicologicamente rassicurante, abbiamo in ogni caso bisogno di trovare, almeno in parte, soddisfatti i nostri orientamenti esistenziali di base. La natura dell’uomo è curiosa, creativa, appassionata, ha necessità di dare un senso e un significato alle proprie azioni. Necessita di fiducia reciproca ed alleanze con i propri simili per poter condividere una meta.Beh.. in azienda spesso non è proprio così…
Senza questa soddisfazione si appassisce, ci si deprime, ci si annoia, si sente frustrata la nostra natura più profonda, si perde il senso del proprio valore e della propria identità, si vegeta, non si vive, si perde il significato della propria esistenza, la vita diventa senza senso, insensata.
È il lavoro alienato, senza passione, senza energia.Spesso ci si lamenta dell’organizzazione in cui si è inseriti. Ma qual è la responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti della propria felicità? Molte volte il vissuto è…”tanto io non ci posso fare niente”…..Moltissimo dipende da noi, basti dire che uno degli elementi che contraddistingue le persone felici è il sentirsi padroni della propria vita, qualsiasi cosa accada, anche indipendentemente dalla propria volontà, la persona felice sa di poter affrontare gli eventi e, in una certa misura ovviamente, sa di poterli gestire positivamente. Ci sono molte cose da dire a questo proposito.Certamente l’autostima gioca un ruolo importantissimo, così come la felicità provata in passato, e l’ottimismo che ne consegue, e poi anche la capacità di darsi mete alla propria portata, la capacità di accontentarsi.E’ anche molto importante mantenere attiva l’energia pulsionale di base, perché se fin da bambini viene favorito l’orientamento a soddisfare i bisogni nelle diverse aree si imparano anche le capacità relative.
Puoi spiegare meglio?Gli esseri umani hanno delle pulsioni di base, che sono sopravvivere, appartenere, crescere e autoaffermarsi. Per soddisfare la pulsione di appartenenza, ad esempio, si devono imparare o affinare comportamenti specifici come la socievolezza, l’altruismo, il calore umano, l’intimità; per la pulsione di crescita si dovrà essere capaci di essere esplorativi, curiosi, intraprendenti, appassionati. Per l’auto realizzazione si dovrà favorire la creatività, l’indipendenza, la fantasia, l’intraprendenza, l’assertività.
E quindi per essere felici ci dobbiamo in un certo senso impegnare….Si, ma oggi mi sembra cruciale anche lo stile di vita del nostro tempo.Stiamo perdendo pericolosamente tre caratteristiche del “sentire”: LA PROFONDITA’: la capacità di assaporare i gesti, di essere consapevoli, mentre si agisce, delle proprie funzioni di pensiero, emozione e comportamento; di essere in presa diretta con se stessi, presenti a se stessi. La capacità di accogliere le sensazioni esterne dando attenzione agli effetti interni e alle risonanze personali, sviluppare la propriocettività; ascoltare gli stati emozionali più profondi e godere del qui e ora.LA LENTEZZA : la capacità di dilatare e ampliare la percezione anche oltre l’immediato presente verso un orizzonte più ampio; di uscire dall’urgenza e dalla concitazione delle emergenze per cogliere e godere delle sensazioni interne ed esterne. Darsi il tempo di assaporare la gioia, ma anche le altre emozioni, per capirne l’origine naturalmente e intervenire di conseguenza sugli aspetti negativi.L’ESSENZIALITA’: la capacità di discernere ciò che veramente conta nella vita, dedicarsi alla soddisfazione dei bisogni di base; ridurre gli stimoli inutili, fare silenzio e trovare calma interiore Fare pulizia di ciò che non merita la nostra attenzione, selezionare gli aspetti della realtà più significativi e prioritari di cui occuparsi; difendersi dai falsi bisogni indotti e dalle richieste superflue, eliminare i “rumori” e i disturbi.Fretta, velocità, consumismo, superficialità, ingordigia sono i veri nemici della felicità. Il potere è un tema molto presente nelle organizzazioni. Anche chi non ne ha per sentirsi sicuro si ritaglia dei piccoli spazi di potere, magari solo trattenendo delle informazioni…ma il potere da la felicità? E come coniugare l’aspirazione al potere con la felicità (o con le pulsioni di base)?Il potere vero è padronanza di sé e della propria esistenza, quindi in questo senso è un elemento molto importante per essere felici. Ma spesso nelle organizzazioni diventa un mezzo per avere delle rivalse per angherie ricevute da bambini. Persone spesso di poca umanità, individualiste e diffidenti, cercano il potere per stare finalmente sopra gli altri, equivocano il comando come se fosse in sé la dimostrazione della loro potenza, immaginano che la superiorità sia la dimostrazione delle loro capacità, e il grado raggiunto, con i suoi simboli economici e di status, come il senso del loro valore.Raggiungono anche posti di potere, ma non sono riconosciuti come potenti, sono solo prepotenti.E un valore non riconosciuto e stimato dagli altri è solo vanità.Un’ altra questione di sofferenza nelle organizzazioni è quello delle maldicenze, dei pettegolezzi e delle piccole cattiverie. È possibili sottrarsi?Questa è un’altra questione cruciale. Il luogo di lavoro per essere efficiente deve essere solidale, sarebbe come se i soldati in guerra si dovessero continuamente difendere dai propri compagni. La condivisione non può essere solo degli obiettivi, delle metodologie o delle conoscenze, per essere efficace qualsiasi gruppo si deve “volere bene”. Anche a dirlo questo concetto sembra folle, ed invece è la base del successo di ogni gruppo umano, il legame affettivo fra i membri è indispensabile per fidarsi, per trovare aiuto nelle difficoltà, per offrirsi in soccorso, per avere supporto emotivo, per scambiare conoscenze e crescere, per reagire alle sconfitte e trovare conforto e tranquillità. I compagni di lavoro dovrebbero essere degli alleati sinceri e reciprocamente fiduciosi.Mi ha sempre indignato vedere quanto tempo si perde nei luoghi di lavoro per difendersi dai colleghi o dai superiori e poi molta parte del burn out deriva proprio dalla carenza di protezione e solidarietà nell’ambiente di riferimento, raramente ha a che fare con le attività o i clienti.E anche il potere dovrebbe essere usato in questa luce, chi guida e ha potere decisionale dovrebbe occuparsi dello stato emozionale delle proprie persone, essere fautore attento del clima di fiducia e trasparenza che ci dovrebbe essere nella sua area di competenza e anche ai confini del suo sistema. Un vero leader è pronto a sostenere e a consolare, ad aiutare a rimediare, ad assistere e rinforzare, deve approfittare di ogni occasione per dare valore alle persone e alla collaborazione reciproca. Spesso il vissuto dei ragazzi di questa generazione è di essere sfortunata rispetto ai padri. L’assunzione a tempo indeterminato diventa un mito o il sogno irraggiungibile di felicità. Cosa diresti loro in questa situazione di grande incertezza?Mi è capitato di parlare di questo in diverse occasioni, quello che credo è importante dire ai ragazzi è che possono fare di necessità virtù, cioè usare il tempo del lavoro precario per orientarsi a costruire il sogno della loro vita professionale.Trovare un lavoro fisso è la soddisfazione della pulsione di sopravvivenza, ed è certamente una meta che dà all’inizio una grande felicità, ma è una felicità che, oggigiorno e in condizioni normali, dura per breve tempo, dopo poco si tende a darla per scontata, dopo un po’ si è di nuovo spinti a cercare di soddisfare la pulsione di autorealizzazione o di crescita. Per questo tanto vale cominciare a mettere in cantiere il proprio progetto al più presto. Devono però sapere che spesso ci vogliono anni per trovare il lavoro che veramente fa per noi e ci piace, ci vuole impegno e spesso lo si deve fare impegnandosi nel tempo libero con studio e corsi professionali mirati. Non bisogna rinunciare alla passione, bisogna cercarla e poi rincorrerla con determinazione e tenacia. Se il lavoro è precario non deve essere precaria la fiducia in sé e la determinazione a realizzare nella vita qualcosa di significativo e importante per sé.Il premio è quello che per tanti, proprio perché hanno trovato un posto fisso qualsiasi fin dall’inizio, diventa un miraggio per cui non vale più la pena di “sbattersi “ troppo.
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