giovedì 4 luglio 2013

CERVELLI STRANIERI IN ITALIA


Intervista di Luciana Zanon
pubblicata su Direzione del Personale - rivista di AIDP  - giugno 2013


CERVELLI STRANIERI IN ITALIA
Chi sono, cosa pensano, come vedono il mercato del lavoro i ‘cervelli stranieri’ in Italia? Tre interviste a chi ci vede con occhi diversi.

“Una prima forte impressione, cominciando a lavorare qui, è stata la grande sorpresa che io con la mia esperienza internazionale abbia scelto di  lavorare in Italia. Mi sono sentito, e mi sento ancora adesso, un po’ come un caso raro. Tutti mi chiedevano - Ma come mai vieni proprio qua, proprio in Italia? -”
Chi parla è Hamid, vera icona cross-cultural: nato in Germania da  una famiglia di origine iraniana, ha lavorato oltre che nel suo paese, in Belgio, Danimarca, Usa occupandosi di governance, sviluppo economico, venture capital e start up.  A 38 anni approda in Italia per lavorare nel settore innovazione di una grande azienda italiana. A un anno dal suo arrivo, la sua è una testimonianza con la genuinità della prima impressione.
“Che spiegazione ti dai per questa sorpresa? Forse per provincialismo o senso di inferiorità?”
“No, non direi senso di inferiorità. Ci sono tanti italiani bravissimi e con ottime competenze che lavorano all’estero ma ho capito che è inconcepibile l’incontrario, che un ‘cervello’ possa emigrare in Italia..”

Rigidità - Flessibilità
 “Un’altra cosa che ho percepito e mi ha molto impressionato è la paura. Paura di cambiare, di cercare qualcosa di nuovo, di prendersi il rischio. Ho sentito tante persone che non amano il loro lavoro, che se ne lamentano.  Eppure fanno poco per cercare o creare qualcosa di diverso e questo è davvero strano da capire per me. C’è il terrore che una volta perso il lavoro attuale tutto sia finito. Certo ora è un periodo difficile: io però non sto parlando di persone senza risorse, ma di persone giovani con una buona preparazione ….”
“L’ultimo giorno del mio periodo di prova alcuni miei colleghi sono venuti a complimentarsi. Questo mi ha fatto molto piacere a livello personale, ma non capivo bene perché complimentarsi.  Perché tanto entusiasmo? Poi mi hanno spiegato che ora ho “un posto fisso”, non mi possono più licenziare. Beh, davvero questo lo trovo molto strano….”

I rapporti nel mondo del lavoro
 “I rapporti tra le persone nel mondo del lavoro per me sono ancora un po’ misteriosi: non so se sia una sorta di ‘socialismo’ oppure un modo di rapportarsi un pò ‘anziano’. Spesso osservo imprenditori e dipendenti che si vivono come avversari, i capi che non vogliono che i collaboratori pensino ‘out of the box’ e i collaboratori quando possono non utilizzano questa opportunità. Mi accorgo che c’è tanta gerarchia e formalità. Le persone si chiamano dottore, ingegnere. Quello che mi chiedo è – ma questa formalità è anche indice di rispetto reciproco?-  e alle volte non credo che sia proprio così.”
A rimanere colpita dai rapporti nel luogo di lavoro è anche Angelica, una splendida quarantenne svedese mamma di due bambini. Laureata in HR management in Svezia, dal ‘98 vive in Italia e lavora come manager in un’industria farmaceutica svedese.
“Una delle prime esperienze di lavoro in Italia è stata in un’azienda familiare.  L’impatto è stato molto duro, non potevo capire come si potessero trattare così male le persone. Mi sono accorta che in alcuni ambienti di lavoro c’è la credenza che se sei furbo devi fregare qualcun altro e così, di conseguenza, la logica nella gestione delle persone è quella del controllo confermando lo stereotipo che per l’italiano medio ‘meno si fa e meglio è’.  Per me questo era ed è totalmente incomprensibile: nessuno dei miei collaboratori è così e non riesco a spiegarmi come in alcune aziende italiane, soprattutto padronali, ancora sopravviva questa logica”.

Per comprendere lo ’stupore’  di Hamid e Angelica, forse può essere utile riferirci al modello di Hofstede che utilizza diversi parametri per comparare le differenze interculturali. Quello che qui ci interessa è la distanza gerarchica (PDI) il livello di ineguaglianza nella società e il suo grado di accettazione.
Questa dimensione influenza direttamente le organizzazioni e tanto più il PDI è elevato tanto più i rapporti gerarchici sono marcati, i collaboratori temono i capi e la distanza emozionale si amplifica.

Work life balance e pari opportunità
Angelica continua: “Ho cambiato diversi lavori e dopo un’esperienza in una multinazionale inglese ho voluto tornare in una azienda svedese. Io adoro lavorare ma voglio avere tempo per la mia famiglia e da noi in Svezia questo è veramente lecito! Gli stipendi forse non sono stratosferici ma c’è molto rispetto della vita privata. Organizzare il lavoro nelle 8 ore, avere il tempo per la famiglia, coltivare un hobby è considerato vitale per collaboratori e per manager.
Mentre in Italia, anche nelle multinazionali, più che il lavoro effettivo conta la presenza”.
“Un altro grande elemento di differenza con il mio paese è il ruolo delle donne e della maternità nel mondo del lavoro. In Italia non mi sono mai sentita discriminata come donna, ma come mamma sì: nella cultura aziendale essere genitore per un manager uomo è considerato un valore perché lo rende più completo ed equilibrato.  Lo stesso non vale però per una donna, in questo caso essere manager-genitore è visto con fastidio. Alle volte addirittura la maternità è vissuta come colpa! In Svezia non esiste il congedo per maternità ma per ‘parentalità’, congedo che viene diviso fra madre e padre, condividendo così la responsabilità di essere genitore.  L’altro aspetto regolato per legge sono le quote rosa: all’inizio non ero favorevole ma ora, visti i risultati, ho cambiato idea. Anche in Svezia, come in Italia le donne sono meno capaci di trattare e di chiedere per sé, lo vedo nei colloqui di selezione, e allora ben venga una legge che le tuteli”.

Anche per le considerazioni di Angelica una variabile del modello Hofstede può essere interessante: il : livello di intercambiabilità dei ruoli tra uomini e donne (MAS). Più il livello è elevato e più una società è caratterizzata da diversità, rigidità e competizione di genere.

Delphine lavora in Italia da 8 anni come freelance nel campo della moda.  In Francia ha lavorato nei grandi gruppi del lusso e ora, oltre ad aver cambiato cultura, ha anche cambiato  modello organizzativo di riferimento: da manager in grandi imprese organizzate a consulente per imprese piccole e/o familiari.

Creatività e pensiero laterale
“Quello che mi colpisce positivamente del modo di lavorare in Italia è la creatività e la capacità di lavorare su sensazioni ed emozioni e questo crea veramente valore e qualità.  Certo è molto forte ed evidente nel prodotto moda ma si coglie anche in altri ambiti.
C’è un pensiero laterale molto sviluppato, gli italiani sanno trovare molte strade, sanno cogliere piccoli segnali e tradurli in azione: ad esempio quando incontriamo i clienti la mia socia coglie cose molto sottili che non sono state dette. Io invece ascolto solo le parole e mi perdo un sacco di elementi”.
“L’altra faccia della medaglia del pensiero laterale è la mancanza di processi. Per me che ho un approccio razionale e faccio piani marketing molto precisi a volte è drammatico. C’è uno spreco di energia completo, ogni anno ci si inventa come lavorare e questo crea demotivazione perché non si capisce quali siano i criteri di scelta e di validità”.

Lavorare in rete
“L’altro aspetto positivo che salta agli occhi quando si arriva in Italia è la grande capacità di lavorare in rete: tanti produttori specializzati in un distretto geografico per un unico prodotto. In Italia esiste una forte tradizione di fare rete, del pensiero del network, che non ha niente a che fare con internet. E’ molto antico e tradizionale ma nello stesso tempo super moderno.

Giovani e mercato del lavoro
“Invece è molto choccante constatare l’enorme difficoltà dei giovani di inserirsi nel lavoro. Sto parlando di giovani selezionati e preparati, non di incapaci o con scarsa specializzazione”.
Delphine collabora con lo IED per i percorsi formativi e il suo è uno sguardo competente.
 “In Francia il mercato del lavoro è rigido come in Italia ma le imprese sanno costruire dei percorsi di inserimento per i giovani indispensabili per creare nuove energie, Ragazzi bravissimi che qui in Italia riescono a trovare a malapena degli stage a pochi soldi, in LVMH ottengono condizioni di tutto rispetto.
Questo non è accettabile, un paese che non investe sui giovani è destinato a morire.
In Italia le imprese sono in mano a persone che non mollano. Credo siano dei modelli culturali che si sono accentuati con la crisi”.
“Ho sempre valutato positivamente la solidarietà familiare italiana, l’aiuto ai figli. Ma a volte mi chiedo se questo non sia invece un aspetto negativo”.

Le ultime riflessioni di Delphine insieme alla percezione di paura del cambiamento percepita da Hamid introducono  altre due variabili di Hofstede che forse ci possono dire qualcosa sulla nostra capacità di gestire l’incertezza e di progettare il futuro.

Uno è l’annullamento dell’incertezza (UAP) ovvero il bisogno di ridurre al minimo l’incertezza: più la variabile sale è più aumenta la paura delle situazioni sconosciute.  Riporto alcuni dati di paesi con situazioni economiche molto diverse. È interessante notare che questi dati, che Hofstede rileva periodicamente, non sono contingenti all’attuale situazione economica ma ricorrenti nella cultura di riferimento.

L’altra variabile è l’orientamento del pensiero e dell’azione a lungo termine (LTO). Più la variabile è forte e più un paese avrà valori di riferimento orientati al futuro,  maggiore la perseveranza  e la capacità di investire in progetti futuri. 


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