Intervista di Luciana Zanon
pubblicata su Direzione del Personale - rivista di AIDP - giugno 2013
CERVELLI STRANIERI IN ITALIA
pubblicata su Direzione del Personale - rivista di AIDP - giugno 2013
CERVELLI STRANIERI IN ITALIA
Chi sono, cosa pensano, come vedono il mercato del lavoro i
‘cervelli stranieri’ in Italia? Tre interviste a chi ci vede con occhi diversi.
“Una prima forte
impressione, cominciando a lavorare qui, è stata la grande sorpresa che io con
la mia esperienza internazionale abbia scelto di lavorare in Italia. Mi sono sentito, e mi
sento ancora adesso, un po’ come un caso raro. Tutti mi chiedevano - Ma come
mai vieni proprio qua, proprio in Italia? -”
Chi parla è Hamid, vera icona cross-cultural: nato in
Germania da una famiglia di origine
iraniana, ha lavorato oltre che nel suo paese, in Belgio, Danimarca, Usa
occupandosi di governance, sviluppo economico, venture capital e start up. A 38 anni approda in Italia per lavorare nel
settore innovazione di una grande azienda italiana. A un anno dal suo arrivo, la
sua è una testimonianza con la genuinità della prima impressione.
“No, non direi senso
di inferiorità. Ci sono tanti italiani bravissimi e con ottime competenze che lavorano
all’estero ma ho capito che è inconcepibile l’incontrario, che un ‘cervello’
possa emigrare in Italia..”
Rigidità - Flessibilità
“Un’altra cosa che ho percepito e mi ha molto
impressionato è la paura. Paura di cambiare, di cercare qualcosa di nuovo, di
prendersi il rischio. Ho sentito tante persone che non amano il loro lavoro,
che se ne lamentano. Eppure fanno poco
per cercare o creare qualcosa di diverso e questo è davvero strano da capire
per me. C’è il terrore che una volta perso il lavoro attuale tutto sia finito.
Certo ora è un periodo difficile: io però non sto parlando di persone senza
risorse, ma di persone giovani con una buona preparazione ….”
“L’ultimo giorno del
mio periodo di prova alcuni miei colleghi sono venuti a complimentarsi. Questo
mi ha fatto molto piacere a livello personale, ma non capivo bene perché
complimentarsi. Perché tanto entusiasmo?
Poi mi hanno spiegato che ora ho “un posto fisso”, non mi possono più
licenziare. Beh, davvero questo lo trovo molto strano….”
I rapporti nel mondo del lavoro
“I rapporti tra le persone nel mondo del
lavoro per me sono ancora un po’ misteriosi: non so se sia una sorta di
‘socialismo’ oppure un modo di rapportarsi un pò ‘anziano’. Spesso osservo
imprenditori e dipendenti che si vivono come avversari, i capi che non vogliono
che i collaboratori pensino ‘out of the box’ e i collaboratori quando possono
non utilizzano questa opportunità. Mi accorgo che c’è tanta gerarchia e
formalità. Le persone si chiamano dottore, ingegnere. Quello che mi chiedo è –
ma questa formalità è anche indice di rispetto reciproco?- e alle volte non credo che sia proprio così.”
A rimanere colpita dai rapporti nel luogo di lavoro è anche
Angelica, una splendida quarantenne svedese mamma di due bambini. Laureata in
HR management in Svezia, dal ‘98 vive in Italia e lavora come manager
in un’industria farmaceutica svedese.
“Una delle prime
esperienze di lavoro in Italia è stata in un’azienda familiare. L’impatto è stato molto duro, non potevo
capire come si potessero trattare così male le persone. Mi sono accorta che in
alcuni ambienti di lavoro c’è la credenza che se sei furbo devi fregare qualcun
altro e così, di conseguenza, la logica nella gestione delle persone è quella
del controllo confermando lo stereotipo che per l’italiano medio ‘meno si fa e
meglio è’. Per me questo era ed è
totalmente incomprensibile: nessuno dei miei collaboratori è così e non riesco
a spiegarmi come in alcune aziende italiane, soprattutto padronali, ancora
sopravviva questa logica”.

Questa dimensione influenza direttamente le organizzazioni e
tanto più il PDI è elevato tanto più i rapporti gerarchici sono marcati, i
collaboratori temono i capi e la distanza emozionale si amplifica.
Work life balance e pari
opportunità
Angelica continua: “Ho
cambiato diversi lavori e dopo un’esperienza in una multinazionale inglese ho
voluto tornare in una azienda svedese. Io adoro lavorare ma voglio avere tempo
per la mia famiglia e da noi in Svezia questo è veramente lecito! Gli stipendi
forse non sono stratosferici ma c’è molto rispetto della vita privata.
Organizzare il lavoro nelle 8 ore, avere il tempo per la famiglia, coltivare un
hobby è considerato vitale per collaboratori e per manager.
Mentre in Italia,
anche nelle multinazionali, più che il lavoro effettivo conta la presenza”.

Anche per le considerazioni di Angelica una variabile del
modello Hofstede può essere interessante: il : livello di intercambiabilità dei ruoli tra
uomini e donne (MAS).
Più il livello è elevato e più una società è caratterizzata da diversità,
rigidità e competizione di genere.
Delphine lavora in Italia da 8 anni come freelance nel campo
della moda. In Francia ha lavorato nei
grandi gruppi del lusso e ora, oltre ad aver cambiato cultura, ha anche
cambiato modello organizzativo di
riferimento: da manager in grandi imprese organizzate a consulente per imprese
piccole e/o familiari.
Creatività e pensiero
laterale
“Quello che mi
colpisce positivamente del modo di lavorare in Italia è la creatività e la
capacità di lavorare su sensazioni ed emozioni e questo crea veramente valore e
qualità. Certo è molto forte ed evidente
nel prodotto moda ma si coglie anche in altri ambiti.
C’è un pensiero
laterale molto sviluppato, gli italiani sanno trovare molte strade, sanno
cogliere piccoli segnali e tradurli in azione: ad esempio quando incontriamo i
clienti la mia socia coglie cose molto sottili che non sono state dette. Io
invece ascolto solo le parole e mi perdo un sacco di elementi”.
“L’altra faccia della
medaglia del pensiero laterale è la mancanza di processi. Per me che ho un
approccio razionale e faccio piani marketing molto precisi a volte è
drammatico. C’è uno spreco di energia completo, ogni anno ci si inventa come
lavorare e questo crea demotivazione perché non si capisce quali siano i
criteri di scelta e di validità”.
Lavorare in rete
“L’altro aspetto
positivo che salta agli occhi quando si arriva in Italia è la grande capacità
di lavorare in rete: tanti produttori specializzati in un distretto geografico
per un unico prodotto. In Italia esiste una forte tradizione di fare rete, del
pensiero del network, che non ha niente a che fare con internet. E’ molto
antico e tradizionale ma nello stesso tempo super moderno.
Giovani e mercato del
lavoro
“Invece è molto
choccante constatare l’enorme difficoltà dei giovani di inserirsi nel lavoro.
Sto parlando di giovani selezionati e preparati, non di incapaci o con scarsa
specializzazione”.
Delphine collabora con lo IED per i percorsi formativi e il
suo è uno sguardo competente.
“In Francia il mercato del lavoro è rigido come
in Italia ma le imprese sanno costruire dei percorsi di inserimento per i
giovani indispensabili per creare nuove energie, Ragazzi bravissimi che qui in
Italia riescono a trovare a malapena degli stage a pochi soldi, in LVMH
ottengono condizioni di tutto rispetto.
Questo non è
accettabile, un paese che non investe sui giovani è destinato a morire.
In Italia le imprese
sono in mano a persone che non mollano. Credo siano dei modelli culturali che
si sono accentuati con la crisi”.
“Ho sempre valutato positivamente
la solidarietà familiare italiana, l’aiuto ai figli. Ma a volte mi chiedo se
questo non sia invece un aspetto negativo”.


L’altra variabile è l’orientamento del pensiero e dell’azione a
lungo termine (LTO). Più la
variabile è forte e più un paese avrà valori di riferimento orientati al futuro,
maggiore la perseveranza e la capacità di investire in progetti futuri.
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