lunedì 21 ottobre 2013

I dialoghi risolutivi

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Articolo pubblicato su Aziendaitalia -  WKI

Our lives begin to end the day we become silent about things that matter
Martin Luther King

 “Anche ieri sera l’ennesima riunione stressante, ormai non riesco più a sopportare il mio capo, ogni giorno un motivo per controllare il mio lavoro e dirmi come devo fare, senza il minimo rispetto e senza tenere in considerazione la mia esperienza e il mio modo di lavorare!”
Quante volte abbiamo sentito frasi come questa, dette con rabbia o con desolazione, ma frasi che rivelano quanta sofferenza, frustrazione, desiderio di rivalsa nei luoghi di lavoro si possano vivere. E sorprendentemente, il carico più pesante non arriva dal lavoro in senso stretto ma piuttosto dalla qualità dei rapporti che si creano con i colleghi, con i capi, con i clienti. In definitiva con le persone con cui passiamo forse la maggior parte del nostro tempo. Imparare a gestire questi momenti critici diventa quindi molto utile sia per il benessere professionale sia per i risultati aziendali.
Imparare a riconoscere e a gestire le situazioni critiche è un’arte antica ma ancora molto attuale: quella del dialogo.


La comunicazione interpersonale
Nella vita di tutti i giorni, così come nel mondo del lavoro, esistono momenti in cui si creano delle “empasse comunicative” con chi ci circonda - familiari, colleghi, collaboratori o superiori - che possono intaccare la nostra qualità della vita, personale e professionale.
Molte di queste situazioni sono associate a micro conflitti, diversità di vedute, giudizi stereotipati, impegni mancati, scelte non condivise e hanno un impatto rilevante sulla nostra carriera, sulle nostre relazioni e in generale sulla nostra qualità della vita.
Potrebbero essere delle situazioni in cui, ad esempio, si vorrebbe dire ad un collega che ha un comportamento poco rispettoso, riprendere un collaboratore per un impegno mancato, esprimere al proprio capo il dissenso per una decisione che ci coinvolge, o ancora chiedere qualcosa per sé.
Quando la “posta in gioco” è alta o le opinioni degli interlocutori non sono allineate si crea un forte coinvolgimento emotivo e può diventare critico prendere decisioni ottimali e agire al meglio.
Proprio per la delicatezza di queste situazioni gli individui tendono a gestirle in modo istintivo e poco efficace: o evitando qualsiasi chiarimento per timore di scoprirsi, di offendere o, al contrario, lasciandosi guidare dall’istintività attraverso aggressività ed escalation conflittuali.
Entrambe le opzioni sono altamente improduttive. La prima perché evitando di chiarire la divergenza purtroppo non si elimina il malessere ad essa associata; anzi di solito il rancore accumulato diventa una barriera insormontabile che ci allontana sempre di più dall’interlocutore. La seconda, anche se permette di “sfogarsi” e di esprimere il disaccordo, difficilmente è una buona opzione per chiarire e ricercare una soluzione e più spesso induce l’altro/a a difendersi e a contrattaccare.
In questo modo, non solo le divergenze rimangono tali o addirittura si amplificano, ma vengono anche intaccate qualità della vita e salute degli interlocutori: è infatti ampiamente dimostrato che vivere in un ambiente conflittuale è fortemente debilitante per il nostro sistema immunitario e di conseguenza per la salute stessa.
E allora che fare, si può imparare ad affrontare questi momenti in un modo più efficace? Possiamo affrontare la conversazione in modo che entrambi gli interlocutori ne escano soddisfatti? E’ possibile essere trasparenti al 100% e nello stesso tempo rispettosi dell’altro/a?
Se ne stiamo scrivendo naturalmente pensiamo che sì, è possibile. È possibile uscire dal circolo vizioso “non dire - ingoiare - covare - esplodere” e apprendere nuove strategie per riconoscere e gestire tutte quelle conversazioni che, se ben affrontate, possono diventare risolutive. Di certo capire cosa succede e definire nuove strategie di comportamento è importante, ma l’aspetto cognitivo non è sufficiente per diventare dei best performers nelle conversazioni risolutive. L’altro “muscolo” da allenare è quello emotivo che fortemente influenza il nostro modo di procedere e di reagire nei momenti di empasse comunicativo.
Affrontare e superare l’empasse comunicativo
Allora vediamo alcuni passi fondamentali.
Lavorare su di sé: primo passo fondamentale è abbandonare l’idea che sorge spontanea, e che spesso scambiamo per realtà, che sia l’altro/a la fonte del problema. Probabilmente anche il nostro interlocutore pensa la stessa cosa e rimanere sulle proprie posizioni non fa altro che alimentare la dinamica “chi ha ragione  - chi ha torto”, assolutamente fuorviante per intraprendere una conversazione risolutiva.
Molto più utile invece porsi alcune domande fondamentali:
- “Quali sono le emozioni che provo in questa situazione?”
- “Quanto mi sento adeguato/a o inadeguato/a rispetto all’interlocutore?”
- “Che cosa rende difficile questa conversazione per me?”
Saper esplorare i propri vissuti permette di uscire da quegli automatismi che normalmente si innescano nelle situazioni difficili e che spesso ci impediscono di scegliere la strategia più efficace.
Altra questione fondamentale è definire l’obiettivo che vogliamo ottenere nell’intraprendere una conversazione risolutiva.
Quando siamo sotto attacco siamo portati a difenderci e contrattaccare, entriamo nella logica del voler avere ragione e questo diventa il fine della discussione perdendo così di vista l’obiettivo reale.

Piccolo esercizio: riporta alla mente una situazione relazionale critica  e prova a chiederti:
“Che cosa voglio realmente ottenere per me?”
“Che cosa voglio realmente ottenere per l’altro/a?”
“Che cosa voglio realmente ottenere per la relazione?”

Lavorare sulla storia: come nel bel film “Prospettive di un delitto”, lo stesso avvenimento può essere raccontato in tanti modi diversi a seconda del punto di vista di chi lo racconta.
Anche nella vita di tutti i giorni succede la stessa cosa e ognuno di noi si “racconta la propria storia” inevitabilmente carica di significati e di interpretazioni personali. Il problema in un confronto è quando alla propria storia, alla propria interpretazione si attribuisce lo status dell’oggettività. Anche in questo caso se i due interlocutori rimangono inchiodati alla propria versione di oggettività, la possibilità di confronto si riduce al minimo. Ecco allora che per trasformare in risolutiva una conversazione conflittuale diventa fondamentale saper raccontare la propria versione dei fatti e nello stesso tempo incoraggiare l’altro/a a raccontare la sua. E questo richiede da un lato la capacità (e la volontà) di saper distinguere i fatti e dalle opinioni, dall’altro nello stesso tempo la curiosità e il desiderio di conoscere la versione di chi in quel momento si vive come avversario. Saper chiedere e saper ascoltare senza pregiudizi permette di condividere i significati diversi attribuiti allo stesso avvenimento ampliando in questo modo la propria storia, la propria versione dei fatti.

Piccolo esercizio: prova a raccontare una piccola controversia che hai vissuto mettendoti però noi panni dell’altro/a usando le sue parole, le sue emozioni e il suo punto di vista.

Lavorare sulla relazione: vuol dire essenzialmente essere in grado nel corso della discussione di esercitare le due competenze dell’Intelligenza emotiva che Goleman ha denominato “padronanza di sé” ed “empatia”.
Per padronanza di sé si intende la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni in modo che non siano di disturbo all’obiettivo; l’empatia invece è la capacità di percepire i sentimenti dell’interlocutore e di saper adottare il punto di vista dell’altro/a.
L’area di sicurezza emotiva
Queste due competenze permettono di individuare e costruire l’area di sicurezza emotiva per entrambi e nello stesso tempo definire degli obiettivi che possano essere comuni a entrambi gli interlocutori.
Costruire l’area di sicurezza vuol dire saper impostare il confronto in modo chiaro ma non aggressivo, vuol dire saper utilizzare la propria sensibilità per comprendere quando l’altro si sta barricando e aiutarlo ad abbassare le difese.
Strettamente connesso a questo e altrettanto importante è la capacità di identificare e rendere espliciti gli obiettivi comuni presenti quando una relazione per motivi familiari o lavorativi è inevitabile (ad esempio la relazione genitore-figlio/a oppure capo-collaboratore o ancora collega-collega)[1].

Piccolo esercizio: prova a scrivere l’incipit di una conversazione risolutiva con lo scopo di rassicurare l’altro/a e individua un obiettivo che possa essere condiviso da entrambi.

Un po’ di teoria
Nella comunicazione fra gli individui, spesso agiscono delle “regole” di cui non siamo consapevoli, ma che influenzano l’esito della comunicazione stessa, in particolare quando la relazione è delicata.
Riprendiamo quindi alcune delle “regole” principali che Watzlawick e altri definirono assiomi della comunicazione nella loro mitica Pragmatica della comunicazione.
Impossibilità non comunicare: due o più individui anche non parlando si mandano in continuazione dei messaggi con il loro stesso comportamento. Pensate a quanto avviene in uno scompartimento di treno o in ascensore, in cui con il non detto si stabiliscono le regole della divisione dello spazio e/o del tipo di relazione che si vuole/ non vuole intrattenere con l’altro.
Pensate a quanto sia importante il non detto in una relazione delicata e a come un silenzio possa essere interpretato in vari modi.
Comunicazione Verbale - Non verbale - Paraverbale: i messaggi che mandiamo all’altro sono caratterizzati dalle parole che usiamo, ma soprattutto dalla nostra mimica e postura e dal nostro tono di voce. Anzi alle volte, pur usando le parole giuste, veniamo interpretati più per il modo di dirle piuttosto che le parole stesse. Vi è mai capitato di sentirvi dire, o di dire/pensare voi stessi: “Non è quello che mi hai detto che mi ha fatto male, ma per come l’hai detto”?
Contenuto e relazione: in ogni messaggio c’è una parte di informazione e una parte di come intendo definire la relazione.
Immaginate i seguente messaggio: “Per cortesia mi puoi fare questa fotocopia?”
Le parole definiscono l’informazione (ho bisogno della fotocopia) ma il tono con cui chiederò questa cosa definirà la relazione che intendo stabilire con l’altro. E il mio modo di fare questa richiesta potrà essere interpretato ad esempio come un ordine che presuppone una relazione up-down. Oppure, usando le stesse identiche parole, ma con un tono diverso, come una richiesta gentile che presuppone una relazione paritaria.
Questo assioma è particolarmente importante nei dialoghi risolutivi dove l’aspetto conflittuale è sempre presente.
Contenuto e relazione
Riprendiamo uno degli assiomi descritti e consideriamo il seguente esempio.
Due coniugi stanno discutendo per le prossime vacanze estive: lui propone la montagna e lei propone il mare. Siamo in presenza di una potenziale situazione di conflitto visto che i desideri sono completamente diversi. Come andrà a finire?
Dipende! Se la discussione è veramente centrata su mare o montagna, e quindi sul contenuto, in realtà non dovrebbe essere molto difficile trovare una soluzione: metà tempo in montagna e l’altra metà al mare, oppure considerando quello che è stato fatto l’estate precedente, o ancora considerando il budget a disposizione.
Il problema si complica assai, quando i due coniugi stanno discutendo di mare- montagna solo apparentemente. In realtà la discussione su dove andare in vacanza è un pretesto per stabilire chi l’avrà vinta stavolta e cioè la relazione, la dinamica di potere fra le due persone. E paradossalmente ad un certo punto della discussione potrebbe anche succedere che quando uno dei due cede, l’altro pur di non dargliela vinta, ritorna sui suoi passi e cambia di nuovo destinazione.
Esempi di questo tipo se ne possono trovare a migliaia nella vita di tutti i giorni, sia familiare che professionale. Ecco perché questo assioma è particolarmente importante. La persona allenata nei dialoghi risolutivi dovrebbe essere sempre consapevole se la discussione è a livello di contenuto oppure di relazione. Quando le persone sentono che l’area relazione è violata è necessario mettere momentaneamente da parte i contenuti e concentrarsi a ristabilire la sicurezza.
Il caso pratico
Il caso di Giovanni è stato proposto dal diretto interessato in una sessione di counseling di gruppo in cui partecipavano diversi manager. Il gruppo era composto da 8 persone e si è incontrato per cinque volte proprio sul tema “Dialoghi risolutivi”. L’obiettivo del counseling di gruppo era affrontare casi concreti di situazioni comunicative critiche.
Giovanni racconta di essere molto deluso dal comportamento di un giovane collaboratore - Marco - che da circa 1 anno e mezzo lavora presso la sua unità con un contratto a tempo determinato. Marco si è occupato della creazione e gestione del supporto informatico di un importante progetto di comunicazione.
Ora proprio nel momento in cui il progetto sta per essere varato, Giovanni scopre dal suo superiore che Marco lascerà l’unità, perché sta per essere assunto dalla società di consulenza con cui era in contatto. Come se non bastasse vista l’urgenza del momento Giovanni dovrà rinunciare alle imminenti vacanze per supplire alla mancanza di Marco.
Questa scoperta getta Giovanni nel totale sconforto.
Nel gruppo di counseling si indaga dunque su quali siano i sentimenti e le sensazioni di Giovanni (padronanza di sé).
Le emozioni dominanti sono delusione, senso di tradimento e ingratitudine. “Ma come con tutto il tempo che ho dedicato a spiegargli le cose, l’ho seguito passo passo, l’ho presentato a tutti i gruppi di lavoro. Per un ragazzo della sua età ha avuto un’ottima occasione per crescere e per farsi conoscere e lui mi ripaga in questo modo: non mi dice neanche direttamente che se ne va ma lo vengo a sapere da altri”.
A pochi giorni dalla scoperta però la cosa rientra e il superiore di Giovanni gli comunica che Marco rimane con un contratto sempre a tempo determinato rinnovato e con un piccolo aumento. Il problema quindi apparentemente è risolto, anche le ferie di Giovanni sono salve. Ma lui continua a sentirsi tradito, da un lato vorrebbe chiarire con Marco ma dall’altro si sente ancora troppo arrabbiato. La sua domanda quindi è: “Ne devo parlare o no visto che dovremo ancora collaborare su questo progetto così importante e sfidante sia per me che per l’azienda?”.
Cerchiamo quindi di capire quale potrebbe essere l’obiettivo di questo dialogo.
“Beh, vorrei dirgli che si è comportato molto male nei miei riguardi, che ha tradito la mia fiducia e che se continua in questo modo comprometterà tutti i suoi rapporti di lavoro …”
Ovviamente Giovanni, pur essendo consapevole delle sue emozioni, ancora non ne ha preso distanza e non riesce a staccarsi dalla sua visione dei fatti.
Con il gruppo facciamo un esercizio di empatia per provare a vedere la sua storia, la sua versione dei fatti.
Il gruppo mettendosi nei panni di Marco ipotizza che:
· la sua emozione più presente sia la preoccupazione/paura per il suo futuro;
· sia anche, come dice Giovanni, bravo ed ambizioso e che quindi voglia cercare delle alternative che lo soddisfino;
· sia meno coinvolto di Giovanni nel progetto proprio perché preso dalla sue preoccupazioni.
A questo punto, adottando anche il punto di vista dell’altro, aiutiamo Giovanni a ridefinire l’obiettivo del suo dialogo risolutivo: “Vorrei impostare il rapporto di collaborazione ancora nei termini di fiducia; per questo vorrei chiedergli la sua versione dei fatti e anche raccontargli come ho vissuto io l’intera vicenda”.
Per aiutare ancora di più Giovanni facciamo un role playing simulando l’incontro con Marco. Dall’osservazione della simulazione il gruppo suggerisce a Giovanni di:
· fare più domande a Marco e ascoltarlo di più;
· non dare per scontato che Marco abbia lo stesso suo coinvolgimento emotivo riguardo al progetto;
· evitare di fare la ‘paternale’ come tende a fare, per esempio nel R.P.
Nell’incontro successivo Giovanni ci aggiorna: “Ho scoperto che Marco non mi ha messo al corrente perché la sua era una strategia nella speranza di ottenere qualcosa, non c’era nessuna reale intenzione di andare via perché è contento del lavoro e del gruppo. Non immaginava che l’azienda consulente segnalasse tutto senza minimamente provare prima a fargli una controproposta.
E’ giovane e ha ancora molto da imparare. Seguendo quanto è emerso nel gruppo ho evitato di fare la paternale. Gli ho solo detto, in modo chiaro, che se decidesse di cambiare, vorrei essere messo al corrente per primo ed evitare quanto è già accaduto.
Il nostro rapporto di lavoro ripartirà come prima anzi più schietto di prima proprio perché sono stato chiaro.
Sono soddisfatto di come è andato l’incontro, penso che sia servito ad entrambi.
Abbiamo eliminato i castelli di sabbia e ci siamo chiariti in modo pacifico ...ora se son rose fioriranno”.


[1] Per approfondire:
- Pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick, Helmick Beavin, Jackson, ed. Astrolabio
 -Conversazioni cruciali, Patterson, Grenny, McMillian, Switzler, ed. Franco Angeli
- Crucial confrontation, Patterson, Grenny, McMillian, Switzler, ed. McGraw-Hill
- Lavorare con intelligenza emotiva, Goleman, ed. BUR.

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