lunedì 2 novembre 2009

Foglie in autunno


C'è un bellissimo racconto di Mauro Corona, sulle foglie in autunno. Ogni foglia ha una sua storia, una sua personalità. Basta saperle osservare.

LE FOGLIE

Ad ogni ritorno dell’autunno gli alberi lasciano cadere le foglie. Sono stanchi, sfiniti disorientati dalle carezze di bizzarre primavere e torride estati. Hanno sopportato pazienti, temporali, uragani, venti improvvisi e violenti e il sole di luglio che ha brunito le loro chiome di un bel verde bronzo antico. Ora hanno voglia di riposare, riflettere e apprestarsi al sonno dell’inverno.
In questa fase preparativa devono essere soli, perciò lasciano cadere le loro foglie sulla terra. Prima però di abbandonarle ai venti dell’autunno le vestono con abiti splendidi, tinti di mille colori, caldi e accesi. È il loro ultimo regalo di genitori prima che esse si disperdano, ognuna nel proprio ignoto viaggio. Ma alla nascita ogni foglia eredita geneticamente le peculiarità del padre albero, così che, all’avvicendarsi della morte autunnale, si può capire, dal modo in cui le foglie cadono, il carattere di ogni famiglia chiomata.
Per rendersene conto basta andare nei boschi il mese di novembre, sedersi e ascoltare. Il fenomeno incuriosirà l’orecchio di tutti.. Il larice solitario e malinconico, re dei costoni ripidi, lascia cadere i suoi aghi silenziosamente, al minimo tocco di mano o di alito di vento. Gli aghi non volano via ma si depositano ai suoi piedi con brusio lieve di finissima pioggia. Sono riconoscenti verso il genitore e non vogliono morire lontano da lui.
Vi è poi diritto, liscio, bianco e bello, l’acero altezzoso. Le sue foglie, quando cadono, devono farsi notare, come il padre. Allora nel silenzio del bosco si udranno rumori secchi come di cartocci pesanti che piombano in terra. Da lì le foglie vorrebbero andarsene subito a farsi vedere anche altrove, ma i giovani venti non le degnano di un soffio. Solo qualche vecchio refolo stanco e brontolone le muove un po’ qua e là, per non sentirsi inutile.
Il duro, contorto, stentato e ossuto carpino è un essere timido e triste. Si vergogna della sua forma senza grazia e se ne sta in disparte, in luoghi impervi e pietrosi. Le sue foglie non fanno rumore a morire; cadono in silenzio e lo fanno anche di notte. Quando sono sul terreno si nascondono tra i sassi che danno vita allo sfortunato genitore.
Il faggio, invece, da incosciente pazzerellone a cui tutto va bene e non si scompone in nessuna situazione, si separa dalle sue chiome così come vive, con allegria e noncuranza. Le manda via ridendo, a sciami interi, leggere e chiassose, fluttuanti nell’abito marrone scuro. Le foglie si sparpagliano dappertutto, senza il minimo rimpianto del luogo natio. Giocano con i venti capricciosi e preferiscono quelli bizzarri e violenti che le portano in ogni dove. Irridono alla morte, le foglie di faggio, e stanno molto unite al momento del distacco. Infatti, quando Eolo si riposa nelle grotte di Bozzìa, si possono incontrare nei luoghi più strani cumuli enormi di foglie di faggio, già pronte a ripartire.
Il frassino, bello, elegante e pieno di classe, non ama la monotonia dei luoghi comuni e odia la linea retta. Cresce alto e sinuoso nelle sue curve si possono intravvedere forme umane. Non si separa dalle foglie prima di aver insegnato loro la danza, ed esse, quando è giunto il momento di andarsene, lo fanno con arte e senza rimpianti, scendendo in terra girando e piroettando con grazia come virtuose ballerine. E non si fermano nel punto di caduta ma vanno lontano, incontro al loro destino, sempre ruotando armoniosamente.
Ma se una di esse, mentre stai nel bosco, si posa per caso vicino a te osservala: noterai nel suo viso cartaceo la malinconia.
Vi sono anche alberi egoistici, cinici, possessivi e dominatori. Quelli che non vorrebbero mai invecchiare e che, come certi genitori, esigono e pretendono che i loro figli siano i più bravi e i più belli, e che mai si allontanino da loro. Un esempio, fra i tanti, è l’agrifoglio. Sempre pulito, perfetto e in ordine, eclatante nel contrasto tra le bacche rosso sangue e le foglie sempre verdi. Il genitore le tiene fissate a se stesso, estate e inverno, e si vanta della sua splendida famiglia.. ma quelle foglie hanno addosso la rabbia e il rancore di non potersi mai muovere, di non conoscere altre foglie e di confrontarsi con loro. Sono diventate acide e scontrose come vecchie zitelle; il loro corpo si è fatto ostile e ha preso linee nervose e dentato con il bordo dentato e spinoso. Sul loro viso non vi è tristezza o malinconia ma solo odio e invidia per le fortunate sorelle che possono morire volando via.
Le foglie del pioppo fanno parte della vasta categoria dei figli sfortunati. Il loro padre è un albero disgraziato: non ha nessun pregio, viene evitato da tutti e non è buono nemmeno per fare fuoco. Lui tenta di consolarsi dicendo che dalle sue foglie nasce la carta per i libri, ma dentro di sé sa benissimo che è una magra consolazione. Quando cadono, le foglie del pioppo sono quasi già morte. Vogliono farla finita presto, ancora prima di staccarsi dai rami. Scendono molto veloci perché l’aria non le regge più a causa dei buchi che una vita infelice ha aperto nel loro tessuto. Scompaiono presto nell’humus, e nel loro mesto volo non hanno più alcun colore.
Il maggiociondolo è un albero nobile, fiero e duro. Non è superbo come il noce o il tasso ma molto riservato: un genitore premuroso e fatalista che abbandona le sue foglie con decisione e le concede ai venti autunnali senza rimpianti. Esse abbracciano il terreno con dolcezza in gruppi di tre per volta, tenendosi per mano come buone sorelle. Resteranno attaccate insieme per molto tempo fino a quando il gelo della terra non verrà a separarle. Nel frattempo il maggiociondolo si sarà addormentato con la coscienza tranquilla.

Il noce è il più antipatico, arrogante, superbo e pieno di boria di tutti gli alberi che conosco. Nel mio lavoro devo vedermela spesso con lui e gli ho chiesto il perché di tanta tracotanza.
“E’ colpa vostra – ha risposto – siete stati voi, uomini incauti, a concedermi potere attribuendomi tutti quei pregi che forse non ho. Come fate, del resto, con molte altre cose inutili. Assegnate valori supremi e irrinunciabili a mille cretinerie per complicarvi la vita. Volete mobili in noce, pavimenti in noce, scale in noce, cruscotti di auto in noce, e perfino la cassa da morto in noce. Con la vostro ignoranza e stupidità mi avete reso potente e ora ne pagate le conseguenze.
Non risposi.
Le foglie del noce scendono giù con clamore, sprezzanti e fracassone. Nemmeno morendo rinunciano a farsi una sfacciata pubblicità. Volano unite in rametti composti di nove sorelle attirando l’attenzione come per dire:
“Attenti tutti, stiamo crepando, ma siamo foglie di noce!”
Però si spengono con coraggio consolandosi nella convinzione che tutto prima o poi deve morire. Una di loro, un giorno che si discuteva di morte, intuì il mio timore e ghignò:
“Non te la prendere, che anche la morte muore, perché quando si muore, muore con noi anche la morte.”
Le foglie di noce non sono più utilizzabili nemmeno nei lavori dei contadini a causa di una vecchia storia.
Una volta, il capostipite di tutti i noci del mondo ebbe un diverbio con una mucca che si grattava le corna su per la sua corteccia. Volarono parolacce perché neanche la mucca scherzava. Allora il noce stizzito decise di non concedere mai più le sue foglie per fare il letto alle bestie. Da quel giorno se un contadino s’azzarda a usare come strame le foglie di noce, in poche ore le mucche che vengono a contatto con esse non danno più latte.
Non è più possibile, per ovvie ragioni di spazio e di conoscenza analizzare i momenti ultimi di tutte le foglie della Terra. L’osservare questa realtà però mi ha fatto riflettere. Ho notato come sempre in natura esistano esseri fortunati e altri disgraziati, oppure brutti, potenti, miseri, simpatici, meschini e così via. Anche nel regno vegetale, come in quello degli uomini e in tutto ciò che ha vita, c’è chi muore in silenzio e che se ne va con clamore di trombe. Ma so anche per esperienza che quando quest’inverno andrò a camminare per i boschi ormai spogli, di tutte quelle foglie non vi sarà più traccia. Colori, profumi, brusii, silenzi saranno scomparsi in un unico, informe strato incolore. E verrà allora la prima neve a coprire col suo bianco velo pietoso quei miliardi di morti diversi, diventati ora tutti uguali.

Mauro Corona da “Il volo della martora”
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