mercoledì 3 settembre 2008

Il talento (o la determinazione) di Chagall (2)

Ridecidere il proprio copione professionale

Nella bella mostra su Marc Chagall organizzata a Roma la primavera 2007, oltre ai quadri, qua e là erano esposti dei brani autobiografici. Alcuni davvero commoventi:

Un bel giorno (ma tutti i giorni sono belli) mentre mia madre stava mettendo il pane nel forno, mi feci accosto a lei che teneva la paletta e afferrandola per il gomito infarinato le dissi: “ Mamma vorrei fare il pittore. È finita, non posso più fare il commesso né il contabile….Lo vedi da te stessa, mamma, sono forse un uomo come gli altri? Di che cosa sono capace? Vorrei fare il pittore. Salvami mamma. Vieni con me. Andiamo, andiamo! C’è un posto in città; se mi accettano e se concludo i corsi, sarò un artista. Ne sarei così felice!”
“Cosa? Un pittore? Sei pazzo, tu. Lasciami mettere il pane in forno: non mi seccare. Ho il pane da fare….” alla fine, è deciso. Andremo dal signor Pen. E se egli riconosce che ho del talento, allora ci si penserà. Ma in caso contrario….
(Sarò pittore lo stesso, pensavo tra di me, ma per conto mio).
Marc Chagall, 1931

Commovente che un povero bambino ignorante a Vitebsk, un piccolo paese sperduto nella Russia di inizio secolo, riconosca con tanta chiarezza il suo talento prepotente e con determinazione, a dispetto di tutto e di tutti, decida che comunque lui sarà un pittore. Un pittore! e dove ne avrà mai sentito parlare (avrà pensato la madre), in quel paese di contadini e di venditori di aringhe?

Riconoscere e coltivare il proprio talento è un tema che riguarda ognuno di noi e non soltanto all’inizio della nostra attività lavorativa. Il nostro non è più il tempo in cui si può decidere la propria professione una volta per tutte. Ora nell’epoca del cambiamento continuo, continuamente siamo obbligati a ridefinire le nostre scelte.
Ci troviamo a ridecidere del nostro lavoro, perché in aziende in continuo movimento anche i ruoli manageriali si trasformano per star dietro al mercato e alle varie riorganizzazioni.
Oppure perché siamo stufi, perché quello che abbiamo fatto fino a ieri non risponde più ai nostri desideri, o forse non vi aveva mai corrisposto, solo che noi, tappandoci occhi e naso, ci siamo adattati ma ora non lo sopportiamo più.
O ancora perché nelle fusioni aziendali siamo stati spostati come dei pezzi di lego e ci siamo resi conto che in fondo siamo soltanto dei numeri e adesso non ci vogliamo più stare.
O più semplicemente perché, con il passare degli anni, vorremo coltivare quei sogni che per tanti anni sono stati sigillati in fondo al cassetto e adesso continuano a premere pretendendo di uscire.
Così per motivi diversi e in particolari momenti critici (e salutari) ci troviamo a domandarci quanto il lavoro attuale corrisponda al nostro talento naturale, o quanto piuttosto lo soffochi.

Ma quali strumenti abbiamo per riconoscere il nostro talento? E quanto siamo disposti a fare per seguire le nostre inclinazioni? Non a tutti il talento si presenta chiaro e prepotente come al piccolo Marc e non tutti sono disposti a coltivarlo con passione e determinazione come fece il pittore.
A volte, se il talento è sepolto troppo in profondità non riusciamo a ritrovarlo; e così ci si convince di non aver poi niente di così singolare che valga la pena di essere coltivato e ci adattiamo ad un lavoro banale, tanto a ben pensare un lavoro vale l’altro.
O non abbiamo il coraggio di proporci, di proporre le nostre idee o anche solo di sentirci all’altezza di un ruolo di responsabilità che l’azienda ci può offrire.
Oppure al contrario ci sentiamo così speciali che continuiamo ad alimentare magnifici sogni, guardandoci bene dal fare qualcosa per realizzarli veramente. Così ci sono persone che passano la vita ad aspettare, disprezzando il proprio lavoro e pensando che il loro sogno, non si sa come, prima o poi si realizzerà. O invece chi passa da un’idea all’altra, da un errore all’altro rincorrendo sogni irrealizzabili.

E allora come fare per realizzare il nostro talento? E per distinguere quando il sogno è davvero una possibilità di crescita e non invece un modo come un altro per tenerci bloccati nel nostro copione?
Eric Berne, padre fondatore dell’Analisi Transazionale parlò per la prima volta di copione di vita nel 1972: “il copione è un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l'infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva".
Tremendo! Ognuno di noi ha scritto il proprio copione di vita e quindi il proprio copione professionale, durante l’infanzia e tutti gli avvenimenti che seguono non sono altro che conferme delle decisioni già prese. E se questo è vero, noi non siamo che attori che continuano inconsapevolmente a recitare la parte di un copione scritto molti anni fa.
Berne parlò di copioni vincenti, come probabilmente fu quello di Chagall: vincenti non perché si vinca qualcosa, ma perché la scelta decisiva, come per il piccolo Marc, fu quella di realizzare davvero se stesso.
Ma Berne parlò anche di copioni banali o perdenti dove la decisione è quella o di non emergere mai (adattandosi ad un lavoro banale) o peggio ancora che tanto sarà un fallimento (facendo di tutto per dimostrare che è vero).
Così nelle aziende ho incontrato tante persone che continuano a recitare vecchi copioni senza capire il perché. Chi come Giorgio, pur avendo raggiunto una posizione di grande rispetto, continua ad arrabbiarsi con tutto e con tutti, e proprio nei momenti cruciali trova il modo di boicottare con la sua rabbia una carriera sempre più in salita. Come Marco che finalmente ha raggiunto dopo anni di impegno il ruolo di direttore e proprio ora non si sente all’altezza così che, per paura di scontentare i suoi collaboratori, non riesce a prendere decisioni e a guadagnarsi la loro fiducia. Come Cecilia che ha rinunciato all’offerta di una posizione a cui aspirava da anni perché proprio all’ultimo è stata colta da una crisi di ansia che le ha fatto dire di no.

I momenti di disagio o frustrazione professionale, le domande che ci poniamo riguardo al nostro talento, possono essere il segno che il nostro copione, scritto tanti anni fa, forse ormai ci sta un po’ stretto e ora sentiamo il bisogno di prendere delle decisioni più attuali e più vere. Certo non è facile, si tratta di riconoscere le nostre decisioni di un tempo, di distinguere fra quelle che ci possono essere utili e quelle che invece ormai non ci servono più. Capirlo razionalmente non basta: Giorgio, Marco e Cecilia sanno cosa non va, riescono a fare un’analisi della loro situazione, eppure non basta, bisogna scendere più in profondità. Un buon aiuto arriva dal counseling, un percorso che insegna ad ascoltare il dialogo interno, a riconoscere le voci che bloccano impedendo la trasformazione e la realizzazione del nostro talento. In fondo si tratta di imparare ad ascoltarsi con attenzione e in profondità, senza raccontarsi bugie, come Chagall tanti anni fa. Continua a leggere!