domenica 5 agosto 2007

Caldo africano: i consigli degli esperti

Esistono molteplici ragioni per cui i bianchi vengono sfottuti dagli africani quando arrivano nel continente nero. Una delle principali è certamente il solerte attivismo che esportiamo in terra d’Africa.
Il nostro punto di vista europeo prevede che la giornata si svolga in un ritmo fluido ed ordinato di attività debitamente programmate e che ricalchi, più o meno, lo schema domestico.
Ci si alza alle 8, colazione prolungata (visto che siamo in vacanza possiamo permetterci di godere più a lungo del lussureggiante giardino), breve toilette e verso nove e mezzo, dieci, equippaggiati di tutto punto, siamo pronti per visite, escursioni e sopralluoghi, o per i migliori fra noi, per le attività benefiche nei villaggi sperduti nella savana.
Ci si da da fare fin verso l’una, una e mezzo, pranzo leggero (si sa, col caldo africano…) e poi pronti a ripartire di nuovo.
E già qua possiamo sottolineare qualche piccola differenza.
Intanto la colazione; non tutti gli africani hanno questa usanza la mattina appena alzati
; le abitudini alimentari a dir la verità non c’entrano molto, il più delle volte è che non c’è proprio niente da mangiare per colazione e nemmeno un giardino lussureggiante da potersi godere (questi per la maggioranza esistono solo negli alberghi o nelle case dei bianchi).
Comunque, passato l’orario della colazione anche gli africani si danno da fare, a modo loro s’intende, in attività di varia natura che permettano loro di sbarcare il lunario fin verso l’una, una e mezzo.
Per quel che riguarda il pranzo si potrebbe ripetere quanto già detto per la colazione. Salvo che gli africani, potendo s’intende, caldo o non caldo non si preoccupano affatto di fare pranzi leggeri: se c’è da mangiare si mangia a più non posso che tanto stasera non si sa cosa succede.
Ma è il dopo pranzo che segna la vera differenza fra popolo bianco e popolo nero.
Dopo un breve riposo, il bianco si risistema, guarda l’orario, estrae una salvietta in bustina, si da un’ultima rinfrescata e risale fiducioso sulla sua gip, pronto per la sua agenda pomeridiana.
Il nero, pur non disponendo di giardini lussureggianti, riesce sempre a trovare un bell’albero frondoso sotto cui distendersi per contemplare l’orizzonte infinito.
Il bianco sfodera la cartina geografica, consulta il GPS, discute con i suoi compagni, pianifica il pomeriggio.
Il nero bofonchia qualcosa ad altri neri che hanno avuto la sua stessa idea, si sdraia più comodamente, da un calcio al cane rognoso che gli contende il fresco dell’ombra, ridacchia masticando una strana radice mentre lo sguardo si fa sempre più sottile e perso nell’orrizzonte.
Il bianco guarda il nero pensando: “…ecco com’è che il continente africano non riesce ad evolvere, tutti ammassati sotto un albero a poltrire…”
Il nero (e il cane) guarda il bianco pensando: “…vediamo quanto tempo c’impiega il burro europeo a squagliarsi sotto il sole africano…”
I due sguardi si incrociano, ma solo per un attimo, non c’è molto tempo, il bianco operoso riparte, forse un po’ triste per la testimonianza di cotanta indolenza.
Lungo la strada altri alberi frondosi, altri grappoli di neri semi-addormentati, altri cani spalmati sul nudo terreno. Fa caldo, è naturale siamo in Africa, comunque per fortuna oggi è più secco, la prossima tappa è il grande baobab e poi dopo è previsto l’arrivo all’isola delle conchiglie.
Ma verso le quattro e mezzo il caldo diventa davvero insopportabile, il bianco comincia a vedere strane lucine. Si concentra sulla piantina e stringe con foga la bollente portiera della sua gip. Continua a parlare con i suoi compagni, ma ogni tanto sente come se la testa viaggiasse da sola.
Alle quattro e tre quarti il bianco sviene e si sgonfia come un soufflè sul grembo accogliente della signora sedutagli accanto.
Ferma la macchina, passa la borraccia che gli rinfresco la testa, presto sdraialo e alzagli le gambe. Aspetta portiamolo più avanti, là c’è un bell’albero per dargli riparo.
Da sotto l’albero due neri vocianti arrivano di corsa, passano un telo sotto il corpo del bianco e veloci lo portano all’ombra. Tutto il gruppo di neri ora è in piedi e lo guarda, discutono a gran voce fra loro, si danno della gran pacche l’uno con l’altro, salutano con sorrisi e rassicurazioni i compagni spaventati che arrancano nella calura.
Il bianco finalmente riapre prima un occhio e poi l’altro. Un gran mal di testa, ma qualcuno gli passa un tè alla menta, inebetito sorride, lo prende, il bicchiere è un po’ sporco, con coraggio lo accosta alla bocca, il primo sorso è dolce e saporito, il secondo è ancora più buono, ottimo da assaporare in questo caldo pomeriggio africano.

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