mercoledì 24 marzo 2010

Life planning, la capacità di conciliare aspirazioni e priorità professionali e personali Luciana Zanon per il Sole 24 ore


Il concetto di work life balance, equilibrio cioè fra vita e lavoro, contiene una contraddizione implicita perché contrappone i termini vita e lavoro: nel suggerire la necessità di un equilibrio fra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita, suggerisce anche il pensiero che quando si lavora non si vive e quando si vive non si lavora.

Una contrapposizione forte; eppure in un vecchio concetto di impresa, che continua a chiamare le persone risorse umane, il lavoratore è concepito come prestatore d’opera, al massimo prestatore di idee. .

Questo concetto di impresa sta scomparendo, e si sta facendo strada una nuova cultura, quella della Corporate Social Responsability che vede l’impresa non solo rivolta al business, ma anche attenta alla comunità, all’ambiente e in particolare a tutte le persone coinvolte, clienti, fornitori, dipendenti.

In questa visione la risorsa umana diventa persona, e quindi lavoratore sì, ma anche genitore, coniuge, figlio, con la passione per la montagna o per il teatro, impegnato in attività sociali oppure sportive.

È all’interno di questa concezione che le imprese hanno cominciato a chiedersi come le politiche gestionali possano favorire un giusto equilibrio fra vita lavorativa e personale. Hanno cominciato a chiedersi come sviluppare il benessere delle proprie persone, consapevoli che un lavoratore soddisfatto della sua condizione in generale è anche un lavoratore più produttivo.

Ma accanto alla responsabilità d’impresa c’è anche una responsabiltà individuale e l’impegno di ogni lavoratore e lavoratrice per il proprio benessere, per le priorità di vita e dell’utilizzo del tempo. Accanto al work life balance si sviluppa anche il tema del life planning, la capacità di conciliare aspirazioni e priorità professionali e personali.

WLB e impresa

Diverse ricerche dimostrano che le imprese che adottano policy aziendali orientate al work life balance, nel tempo raggiungono diversi vantaggi:
• Un miglior clima aziendale e una maggior produttività
• Una migliore customer satisfaction
• Una maggiore capacità di attirare e trattenere i talenti
• Una maggiore fidelizzazione dei collaboratori
• E, non ultimo, costi minori dovuti a congedi per malattia.

Spesso si pensa che sviluppare una cultura WLB significhi creare una serie di servizi aziendali che facilitino l’organizzazione di vita delle persone, come per esempio asili aziendali, servizi di spesa in ufficio, servizi di pagamento bollette interne, palestre per combattere lo stress e tenersi in forma lavorando.

Sono servizi certamente utili, ma non bastano per creare una cultura WLB. Intanto non tutte le aziende, specialmente le medie e le piccole, se lo possono permettere.
Inoltre non è detto che tutti i lavoratori necessitino di questi servizi. Per esempio chi non ha figli, o ha figli già grandi. Chi non ama lo sport e per tenersi in forma e combattere lo stress preferisce la lettura di un libro oppure lavorare all’uncinetto.

Non basta soprattutto se, come alle volte succede, le imprese forti del fatto di aver istituito questi servizi, implicitamente chiedono ai propri dipendenti di rimanere ancora più a lungo.

Sicuramente la capacità di creare un’organizzazione del tempo flessibile può aiutare molto l’individuo a bilanciare il proprio tempo: poter lavorare da casa, avere degli orari flessibili, gestire il tempo di lavoro a seconda della propria organizzazione familiare e dei propri bioritmi, utilizzare il part time in funzione del proprio ciclo di vita sono strumenti, che aumentano molto il locus of control interno e quindi il sentirsi padroni della propria vita.

Ma anche qui, la semplice istituzione della flessibilità non è sufficiente se la cultura generale non cambia, se per dirla in parole povere, sopravvive l’equazione presenza = merito, se per potersi sentire sicuro il manager deve avere in ogni momento il controllo sulle persone, se insomma, come succede in tante realtà aziendali, chi si ferma di più è il più meritevole.

Molte aziende sono ancora bloccate in una cultura datata di rigido controllo della presenza e del tempo. È una cultura che però non stimola creatività e partecipazione, elementi indispensabili in una cultura del lavoro sempre più centrata sulla conoscenza.
Potremo dire che ora it's time to work smarter, not longer.

La concezione del tempo

Possiamo paragonare il tempo all’aria che respiriamo: è un elemento così vitale e scontato che non ci pensiamo fino a quando non comincia a mancarci.
Da un punto di vista esistenziale, ognuno di noi vive come se avesse davanti a sé un tempo infinito. Nonostante cognitivamente sia chiaro che la nostra vita avrà un tempo finito, il fatto di non sapere quanto ne abbiamo a disposizione, ci fa concepire il tempo come illimitato. Insomma come individui è difficile interiorizzare il famoso memento mori.

Nello stesso tempo però e paradossalmente, viviamo in una cultura che considera il tempo una risorsa sempre più limitata. Tutto deve essere fatto il più in fretta possibile, qualsiasi attività si trasforma in una corsa contro il tempo. Questo è particolarmente vero nel mondo del lavoro dove tecnologie e cambiamento continuo accelerano ogni giorno di più i nostri ritmi di marcia.

Il paradosso è che come individui siamo compressi tra due concezioni opposte: il tempo quotidiano è insufficiente ma il tempo della nostra vita è illimitato.
Il risultato è che siamo costantemente di corsa e completamente incapaci di fermarci e riflettere su come stiamo impiegando il nostro tempo.
Oberati giorno per giorno da mille attività, continuiamo a posticipare in un immaginario tempo futuro, quelle che ci riguarda come individui.
Ci lamentiamo di non aver abbastanza tempo per leggere, per approfondire (per esempio i temi di lavoro che ci interessano di più). Ci lamentiamo di non stare abbastanza con i figli, di non poterci dedicare alla meditazione, ai viaggi, alle nostre passioni.

Alle volte una grave malattia o un evento luttuoso obbligano a fermarsi ed impongono la riflessione. Il toccare con mano che la vita ha un termine, mette di fronte ad un bilancio esistenziale: che uso ho fatto del mio tempo e che uso farò del tempo che rimane.

E a questo punto la domanda è: perché questo bilancio non posso farlo costantemente, perché non mi assumo la responsabilità di come usare il mio tempo?

Life planning

Per fare un bilancio della propria vita è necessario assumere una prospettiva di lungo periodo. È quindi importante sapersi fermare ed attivare una riflessione che è impossibile fare quando si è travolti dalla frenesia quotidiana. Una domanda molto utile per rifocalizzarsi in una prospettiva più di lungo periodo è questa: immagina di avere ancora un anno di vita a tua disposizione, come vorresti impiegare il tempo che ti rimane?
È una domanda molto forte, ma che aiuta a centrarsi immediatamente sul progetto di vita.

Progettare la propria vita è un’azione fondamentale come individuo e come lavoratore. Per motivarsi nei differenti momenti della vita. Per verificare nel corso degli anni quali sono le priorità che necessariamente cambiano nel tempo.

Si tratta di sviluppare una nuova competenza, quella di alimentare vicendevolmente vita personale e vita professionale.

Per fare questo è importante attivare alcune domande fondamentali:
• che cosa do per scontato del mio tempo?
• quali sono state le priorità che mi hanno fin qui guidato?
• che cosa, in questo momento della mia vita, è per me prioritario?
• quali sono le priorità a cui mi voglio dedicare nei prossimi cinque anni?
• qual è la qualità delle mie relazioni professionali e di quelle personali?
• che cosa per me è logorante in questo momento?
• in quale ambito della mia vita, traggo le maggiori soddisfazioni e ispirazioni?
• e quanto questo ambito potrebbe diventare predominante a discapito degli altri?
• quanto per me è accettabile dedicare del tempo a me, alla mia famiglia, alla comunità, al mio lavoro?
• quanto spazio hanno i sensi di colpa nel riservare più o meno tempo ai diversi ambiti della vita?
• come legittimare le mie aspirazioni e neutralizzare i sensi di colpa?

Porsi queste domande e rispondervi non è certo facile. È un processo complesso che a volte richiede anche un supporto. Ma è l’unica possibilità per fare il punto, per sapere dove siamo e dove vogliamo andare. È l’unica possibilità per aumentare la propria consapevolezza e il locus of control della propria vita.

Poi sarà necessario attivare un piano, porsi degli obiettivi concreti, saper negoziare, prima dentro di sé e poi all’interno del proprio lavoro, nuovi spazi e diverse responsabilità.

Il concetto di work life balance, nato negli anni 70 soprattutto per rispondere alle esigenze delle madri lavoratrici, nel corso del tempo ha assunto una connotazione sempre più ampia e trasversale al genere, dando il via ad una vera e propria trasformazione culturale.
Ora non sono solo le donne che vogliono ricavare del tempo per la famiglia, ma anche gli uomini in alcuni momenti della loro vita professionale decidono che se ne vogliono occupare.
Il work life balance diventa sempre più interessante per tutti: uomini e donne, genitori e non genitori, single e coppie, impiegati e manager. Tutti indistintamente sentono sempre di più l’importanza di poter gestire il proprio tempo in modo più equilibrato.

Una recente indagine in UK ha dimostrato che la stragrande maggioranza dei lavoratori sono scontenti del proprio work life balance. E nello stesso tempo questi stessi lavoratori vedono come unica possibilità quella di poter cambiare lavoro, anziché rinegoziare il proprio modo di lavorare, spingendo verso una maggior flessibilità.

E forse è proprio qui il punto di incontro fra bisogni individuali e bisogni delle imprese.
Il salto culturale per le aziende sarà proprio quello di capire che un buon work life balance conviene all’individuo ma conviene all’azienda.
• Che in momenti diversi della vita ogni individuo può portare all’azienda energie diverse: l’entusiasmo e la presenza di un neo laureato così come la riflessività e la saggezza di chi è alle soglie della pensione.
• Che una buona realizzazione della vita personale non può che arricchire la vita professionale: se un individuo coltiva la sua creatività attraverso hobby e passioni, la stessa creatività la potrà portare in azienda.
• Che le competenze che si sviluppano nella vita personale possono essere utilizzate nel mondo del lavoro: ad esempio le doti organizzative di una madre, la capacità di negoziare e gestire i conflitti di un genitore di figli adolescenti, le abilità di team work di chi è impegnato in attività sociali e così via.
• Che creare individui workaholic, che traggono maggior piacere nel lavoro piuttosto che nella vita privata, sul lungo periodo diventano un costo. Basti pensare alle spese sanitarie legate alle malattie da stress.

• Che in definitiva l’individuo è unico e che vita lavorativa e vita personale si possono alimentare l’una con l’altra anziché contrapporre come due entità separate.

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